Mini-storia
cucina consapevole
Tutte le forme dell’ospitalità de I Conoscenti
Tra le mura di Palazzo Conoscenti a Bologna, cucina sincera e accoglienza si intrecciano in un progetto circolare guidato da passione e bellezza
Testo di
Cristina Ropa
Foto di
Carolina Negroni
Tutte le forme dell’ospitalità de I Conoscenti
7 minuti

Ci fu un tempo in cui a Bologna svettavano verso il cielo più di cento torri. Una di esse era nascosta nella corte interna di un Palazzo tra i più belli della città poiché “raro esempio di abitazione privata con il portico ad archi ogivali”. Si tratta di Palazzo Conoscenti, in pieno centro storico, le cui fiabesche origini creano quell’atmosfera ideale per accogliere I Conoscenti un progetto dove l’ospitalità diviene una filosofia espressa in meravigliose molteplici forme.  

Il sorriso e l’eleganza di Bianca Maria Cifarelli, la proprietaria, lo sguardo calmo e simpatico di Salvatore Amato, executive chef, la gentilezza e professionalità di Lorenzo Arduini, general manager, aggettivi tra tutti interscambiabili – così come per gli altri membri dello staff – sono i primi passi che muovo dentro un contenitore sorprendente. Forse per la maestosità dell’edificio in cui sorge, mai avrei immaginato così caloroso e con fondamenta etiche così profonde. Strutturato sia architettonicamente che concettualmente sul principio della circolarità troviamo un cocktail bar e ristorante per estasiare i sensi ispirandosi a materie prime sostenibili, Casa Conoscenti per alloggiare in camere storiche ornate da affreschi mozzafiato, Eventi e Catering per creare un segno indelebile a quei momenti speciali tanto attesi.

Mentre visitiamo tutte queste realtà inizio ad approfondire con Salvatore, lo chef approdato qui nel 2018 la sua storia: “Se dovessi definire la cucina che propongo, la definirei concreta e sincera. Il mondo sta cambiando. C’è una predisposizione generale a scegliere prodotti locali e vegetali e anche qui abbracciamo questa direzione investendo in modo costante sulla ricerca della materia prima e prediligendo la stagionalità dei prodotti”. Dopo un’infanzia nella campagna pugliese, una formazione con lo chef Angelo Sabatelli e altre esperienze di lavoro stellate, mi confida che l’origine di tutto rimane sempre e comunque la famiglia. “Da mia nonna che cucinava in casa a mio padre grande estimatore dell’orto e dei vegetali. La mia mente è piena di ricordi legati al cibo, le uova fresche della gallina, le verdure… Stiamo vivendo in una società dove il tempo da dedicare a sé stessi sembra sempre meno, lo abbiamo centellinato, ma io sono convinto che il futuro sarà tornare in campagna come già stanno facendo molti giovani per poter rallentare, porre più attenzione a cosa mangiamo, alla filiera. Noi ci riforniamo dall’azienda agricola Zanarini, riconosciuta per l’eccellente qualità dei suoi prodotti, sia per le farine di grani antichi bio, che per la frutta e verdura. Per le carni ci affidiamo a Michele Varvara, mio compaesano e fornitore tra i più rinomati ristoranti stellati, i cui animali vanno al pascolo liberi e sani sulle Dolomiti lucane come da lui definite”. Il tema della sostenibilità con Salvatore continua a espandersi fino a coinvolgere anche l’ambito sociale perché il ruolo del produttore è anche quello di educare il consumatore mantenendo un occhio di riguardo verso ogni dettaglio.

“Credo sia importante informare i clienti sulle particolarità di certi prodotti. Le carni, ad esempio, allevate da Varvara saranno naturalmente più tese perché essendo animali liberi svilupperanno un certo tipo di muscolatura a cui molti non sono abituati. Mi è capitato di servire costate con un grasso buonissimo, con profumi e sapori più intensi e dover spiegare come mai siano così”. Ma non si ferma al ristorante il suo raggio d’azione

perché se davvero vogliamo attuare un cambiamento occorre dialogare con tutte e tutti, anche chi spesso viene dimenticato dalla società.

“Per quante incredibili esperienze possa aver fatto nei vari ristoranti stellati, nulla è a paragone di quello che ho vissuto quando ho svolto un corso di cucina nel carcere femminile della Dozza. Mi ha dato davvero tanto”.

E mentre ci avviciniamo al tavolo per vedere come queste ispiranti e lungimiranti suggestioni possano esprimersi nel cibo, nasce spontaneo chiedersi a cosa si stia dedicando ora, cosa lo stia appassionando di più. “È il momento del pane – confessa gioioso di aver appena sfornato una pagnotta – Mi ci sto affezionando e dedicando tanto tempo. Uso prevalentemente grani antichi ma bilanciandoli e chiaramente il lievito madre. È impegnativo, richiede molta cura ma ci divertiamo e da grandi soddisfazioni. In quanto artigiano del cibo non potevo che approfondire anche questo mondo dei lievitati”. Il primo piatto ad arrivare è proprio il pane, soffice e caldo, insieme a un antipasto composto da più portate: Indivia in ghiaccio, salsa agrodolce e menta fresca e dalle note orientali, segno inconfondibile del suo maestro Sabatelli, chef di grande esperienza sui sapori asiatici; Bocconcino di pane con hummus di ceci condito con spezie, salsa ricotta salata e cetriolo al gin; Piccola focaccia pugliese con capocollo di Martina Franca “Macelleria Cervellera“; Krapfen di Parmigiano Reggiano con salsa uvetta e capperi, pane, olio; il tutto accompagnato da un Trento Doc “Blauwal” Cesconi con il quale abbiamo proseguito anche verso la seconda portata, una Zucca Mantovana arrosto in salsa al blu di capra, nocciole Piemonte tostate e un gel all’aglio nero di Voghiera che richiama la liquirizia. Tutta l’intensità e golosità dei sapori invernali. Segue un Carciofo in salsa di cacio e pepe, liquirizia e menta affiancato a un vino naturale eccezionale, il Radikon Pop Bianco, al naso aromatico e persistente, al sorso salato e voluminoso.

Giunti a questo punto siamo pronti per assaggiare il piatto Re della serata, un must dello chef, molto amato dai clienti, di presentazione regale come tutto ciò che susciterà in seguito al palato. In un piatto con alla base delle cozze viene versato da un pentolino un Tubettino Benedetto Cavalieri ai frutti di mare, clorofilla di prezzemolo e limone salato.“L’idea nasce da un piatto tipico della tradizione pugliese, in particolare quella di Taranto – mi racconta Salvatore – Abbiamo trasformato quello che era un classico tubettino con le cozze in una nostra versione. La pasta viene cotta in una salsa di pesce in zuppa e ragù di polpo. Alla fine viene mantecata con pepe nero, buccia di limone e spolverata di Parmigiano Reggiano”. Quando inizi a gustarlo non vorresti più fermarti. Il limone da luminosità al piatto e colora di sapori inaspettati ogni suo elemento. In accompagnamento ci viene proposto un Salgemma, Sergio Genuardi “un Nero d’Avola controcorrente” mi spiega Lorenzo, il general manager e sommelier, dopo avermi direzionata sapientemente verso un’esplorazione di vini di alta qualità. “La vigna è a circa 600 metri s.l.m., ripida e totalmente affacciata sul mare. Il terreno ricco di zolfo, salgemma e gesso. Il risultato è un vino con al naso sentori di succo di mirtillo che lascia una bocca ricca di sapidità. Siamo a Casteltermini nel punto più alto dell’agrigentino”. Entusiasta e fiero della scelta ci porta l’ultima portata prima del dolce. Abbiamo così la fortuna di gustare un Cavolfiore arrosto con salsa pizzaiola e fave che detta da Salvatore “non ha nulla da invidiare a una carne in quanto piatto corposo, succulento e appagante”. Qui troviamo come vino un Casina Bric, Nebbiolo d’alba origo-ginis rosè cuvèe 970. “Colore rosa antico, perlage fine e persistente, floreale, note di rosa canina e fiori di pesco. Verticale, equilibrato ed estremamente elegante” sono le parole di Lorenzo che divinamente ci ha seguite in questa bellissima esperienza che si concluderà con un fresco Gelato alla vaniglia e fragole.

A fine cena, contemplo il raffinato design scelto per l’arredamento e rimango incantata a osservare nuvole di fiori bianchi secchi appese al soffitto. “Non è stato semplice ristrutturarlo come davvero desideravo – mi racconta Bianca – avevo chiesto alla madre di una mia cara amica, architetto, ma era piena di lavoro e non riusciva così ho provato a farmi fare dei progetti da altri ma nessuno mi convinceva. Poi un giorno lei venne a trovarmi.  Iniziai a parlarle di come mi sarei immaginata questo luogo. Io raccontavo e lei disegnava. Abbiamo ancora i suoi bozzetti. Purtroppo ora lei non c’è più ma questo luogo è stato creato così. Dal nostro dialogo”. Bianca sprigiona una bellissima energia, piena di vitalità e di quella inconfondibile passionalità pugliese. “Quando siamo arrivati questa zona era degradata. Non era prudente uscire da qui in piena notte da soli. Mi dissero che avrei chiuso presto ma non mi sono arresa e oggi Via Manzoni è tra lei vie più belle della città grazie anche a tutte le bellissime realtà che insieme a noi non si sono arrese”.

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