Intervista
vino artigianale
Un poliedrico internazionale intreccio tra arte e natura
Intervista a Francesco Martinelli sul Festival Baccanal x Karakterre
Testo di
Cristina Ropa
Foto del Festival Karakterre di
PhilandAI e Winegoverno
Un poliedrico internazionale intreccio tra arte e natura
7 minuti

Natura e cultura. Connessioni armoniose, suggestive, tra alberi in fiore, melodie di uccellini e strumenti musicali, grappoli di uva succosi e pronti per la pigiatura, pennellate di colore senza un fine se non quello di esprimersi, vigneti rigogliosi liberi da ogni convenzione, quella scultura consapevole di rivelare il potenziale e non costruirci sopra qualcosa. E se tutto fosse un continuo, interminabile intreccio? Se bastasse un gesto per vedere che non esiste separazione? Abbiamo incontrato Francesco Martinelli che insieme a Marko Kovac – ideatore di Karakterre – ha creato il Festival Baccanal x Karakterre, una commistione di stili, di creatività, di poliedricità al cui centro spicca la produzione di vini artigianali da tutta Europa. Austria, Germania, Repubblica Ceca, Francia e molti altri paesi dell’Est e Centro Europa, per un totale di 90 cantine. Sabato 5 aprile nella fiabesca Villa Ca’ Vendri a Verona in uno spazio e un tempo interdisciplinari si incontreranno arte, letteratura, design, creatività e artigianalità.

Come nasce questo progetto?

La maggior parte delle fiere sul vino che ci sono in questo periodo sono organizzate da italiani e per un fattore di vicinanza e di conoscenza finiamo per essere sempre il 95% della presenza. Per me stava diventando un piccolo parlarsi addosso. E quindi conoscendo già Marko di Karakterre, un Festival che ha unito persone da tutto il mondo, gli ho parlato della mia idea di rendere internazionale un evento qui in Italia sul vino artigianale e abbiamo pensato di realizzarlo insieme. Quello che per me è umanamente interessante nelle fiere è conoscere altri produttori. Mi capita spesso di ascoltare in 25 minuti di racconto 40 anni di vita di una persona. Avere uno scambio, un confronto tra produzioni, territori, mentalità è davvero importante.

Cosa ti è rimasto più impresso come crescita professionale e umana dall’incontro con l’internazionalità?

Io sono un viaggiatore e credo nella contaminazione. Nel vino c’è tutto. Il rapporto tra uomo e terra, tra l’uomo e suoi prodotti, quello che fa e come lo fa. Mi ha intervistato l’altro giorno un produttore cecoslovacco e mi ha chiesto: ma il vino è arte? Se lo approcci con artigianalità per me sì, è arte. E lo rende libero dal mercato.

Cosa ti affascina di più del vino?

È come la scultura. Non vai a imprimere qualcosa ma a scoprire, a tirare fuori, a rivelare il potenziale della natura. Mi viene in mente il golf. Il modo in cui lancerai la pallina è influenzato dalla mazza che hai scelto, dal fatto che ti sia messo la crema sulle mani oppure no, se sei scosso dalla morte di tua nonna che potresti aver perso da poco e quindi stai ancora elaborando il lutto… Quindi ogni volta che lanci una pallina verso la buca lo fai in modo diverso, ogni volta è unica e puoi solo determinare la traiettoria. Non sai quello che accadrà da lì in poi. Ci sono tanti fattori che entrano in gioco e con il vino è uguale. In più devi adattarti ai cambiamenti continui. In vigna ogni anno cambiano le persone che ti aiutano nella vendemmia, cambia se sono passati i corvi oppure no, quanto ha piovuto e tanto altro… E da lì devi fare delle scelte. È una sfida continua e questo è entusiasmante e fonte di grande creatività.

Con questo Festival avete dichiarato di “voler superare la barriera tra i settori e cercare un approccio multidisciplinare, più orizzontale, contaminato e coinvolgente in quanto il lavoro del vignaiolo ha intrinsecamente un approccio sistemico che ambisce a promuovere un prodotto ma anche a rispettare l’ambiente, i tempi della biodiversità e per una valorizzazione anche sociale come senso di comunità”. In che modo pensate di realizzare tutto questo?  

Sono una persona estremamente curiosa. Quando conoscevo meglio un ambito, piano piano che lo maneggiavo mi interessava altro. “Fai una cosa sola e falla bene” mi dicevano. Ma invece no, per me non è possibile.  Ho sempre amato l’arte, la musica, comprare dischi e organizzare feste. Fotografavo e costruivo oggetti. Adesso mi occupo della vigna, della cantina, dipingo, suono la tromba, è tutto un insieme, una grande opera d’arte che finisce in una bottiglia. Questo Baccanal è appunto l’insieme di tutte le cose che mi piacciono della vita messe a disposizione delle persone. È un Festival multidisciplinare il cui filo conduttore è fare le cose in modo artigianale nel pieno rispetto della natura. Una delle provocazioni che vorrei lanciare è che spesso siamo concentrati su quello che vogliamo costruire per noi stessi e invece dovremmo ragionare di più su quello che stiamo lasciando alle generazioni future.

Qui sposti un paradigma molto argomentato in questi anni con il termine sostenibilità, ma spesso di difficile applicazione: dall’avere una visione limitata al proprio ego a una orientata al benessere collettivo per sostenere il futuro partendo dalle scelte del presente.

In tutto il casino che ho fatto in questi anni mi sono già costruito e vissuto. Se tutto quello che ho non lo condivido che senso ha? Ogni giorno esco di casa e so che potrei morire e vorrei farlo al meglio, con il sorriso. Ascolto molto Radio 24 e un biologo diceva: “Noi parliamo dell’evoluzione verso l’elettrico ma poi ci chiediamo cosa diranno di noi tra 6.000 anni? Riusciremo a immettere quel cambiamento necessario per cui chi leggerà i libri di storia ci vedrà come un popolo capace di generare una nuova fase per l’umanità in cui ha smesso di fagocitare tutto quello che aveva intorno senza freno e ha iniziato a mettere in dialogo le proprie necessità senza più danneggiare quelle della natura?”.

Non pensi che questa onnipotenza che a volte gli esseri umani manifestano potrebbe essere ridimensionata se fossimo più a stretto contatto con la natura?

Sì. Io voglio andare sull’Etna perché so che c’è un punto in cui è possibile vedere la profondità della Terra. Dinanzi alla maestosità della natura non puoi che sentirti un puntino. Siamo come delle formiche rispetto ai vulcani, alle montagne. Vorrei andare lì e stare al cospetto.

Perché hai deciso di dedicarti alla produzione di vino naturale?

Ho iniziato nel 2016 dopo anni in cui mi ero già avvicinato a questo mondo. Prima facevo il cameriere e già allora cercavo di trasmettere alle persone l’aspetto culturale del cibo e del vino. Quando ho conosciuto vignaioli che lavoravano in maniera rispettosa verso la natura e tutto l’ecosistema mi sono reso conto di quanto il risultato fosse diverso. Ho scoperto che mio padre aveva una vecchia vigna insieme a un rustico sulle colline di Soave in provincia di Verona e così ho deciso di iniziare con il desiderio di valorizzare l’aspetto artigianale del produrre vino nel pieno rispetto del territorio e di tutto l’ecosistema circostante.

Che rapporto hai con la vigna?

Cerco di fare in modo che possa esprimere sé stessa in quella annata in massima libertà senza il mio intervento. Produco in totale cinque, sei, sette vini e credo che ognuno di loro parli in modo diverso della zona, della vigna e di quell’annata. È un pezzo di terra che tratto come una persona, con tanto rispetto per le sue particolarità. Le piante hanno un’intelligenza millenaria. Noi siamo esseri che credono di avere una storia, ma in realtà le piante sono molto più anziane di noi e in un certo senso più evolute. È come se avessero un cervello condiviso. Si aiutano a vicenda, si modificano adattandosi ai cambiamenti, si esprimono. E anche dal punto di vista estetico è più bello guardare una vigna piuttosto che modificarla. La natura è una cosa così complessa che non potremo conoscerla appieno nell’arco di una vita. Magari tra generazioni e anni scopriremo che i vigneti in realtà, seppur distanti e in territori diversi, si muovono in comunione tra di loro.

Come vorresti che si evolvesse il mondo del vino naturale?

Vorrei che continuasse a favorire la libertà di espressione. L’idea del controllare tutto è fallimentare e quindi basterebbe che il mondo della grande produzione capisse che determinate esperienze hanno un valore e possono essere utili e incorporate in produzioni più ampie. Dobbiamo modificare qualcosa per avvicinarci a un modello, al di là della sostenibilità. Stiamo andando verso un periodo in cui dovremmo integrarci con tutto quello che ci circonda.


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