La data è 1875, il gusto cioccolato. A Torino, dall’unione di due cognomi non per via matrimoniale, ma artigianale nasce una confetteria destinata a cambiare la storia del gusto della città sabauda: Baratti&Milano. Un’ossessione, quella per i caffè-salotto, le dolcezze, le pasticcerie, che sembra intrinseca alla Sabaudian Way of Life. E certo, ospitare una corte reale aiuta lo sviluppo di un gusto raffinato anche in fatto di dolci. Nell’ecosistema, però, la ragione è anche un’altra. Lo ricorda il volume Baratti & Milano. Una grande storia del gusto a Torino, curato da Manuela Viglione (Direttrice creativa di Baratti&Milano – sì, anche i locali possono avere direttori creativi) e con i testi di Viglione stessa, Alessandra Morra e Mario Marsero.
Torino era infatti meta prediletta degli artigiani svizzeri operanti nella pasticceria, i quali vi giungevano alla ricerca di fortuna. Questo il motivo che portò a incontrarsi anche Ferdinando Baratti ed Edoardo Milano, che prima rilevarono una bottega, nel 1858, e poi ampliarono l’attività, complice la felice unione di Milano con una signorina della bella società locale. La location del negozio è la centrale piazza Castello e i portici che la recintano diventano presto il salotto della città. È quello che succede a Baratti & Milano, che oggi indicheremmo come caffè storico ma che, al tempo, era il locale in cui volevano, o avrebbero voluto, andare tutti. Il poeta Guido Gozzano sedeva a quei tavoli quando osservava le sue Golose, signore che si leccavano le dita nelle confetterie – nel volume di Baratti ci viene ricordato che “in un’epoca in cui alle signore per bene non era permesso frequentare i caffè, le eleganti confetterie consentivano loro di fare uno strappo alla regola. Non solo di entrare in locali pubblici prima riservati agli uomini, ma anche di consumare bevande come il caffè, la cioccolata o il bicerin insieme a biscotti e altre golosità”. Ed è quello che succedeva: cioccolate, bignole alla crema, praline, bonbon, bicerin. Oggi accade più spesso con le caramelle, “quelle” che ogni nonna torinese terrebbe sulla propria credenza. Forse allora non è solo un caffè storico, ma un caffè che ha fatto la storia.
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“Quest’anno sono 150 dalla fondazione del Caffè e per celebrare la ricorrenza abbiamo pensato a tante attività, sia legate alla storia di Baratti & Milano, sia a quella della città di Torino, a volte poco conosciuta. Vogliamo valorizzare il patrimonio gastronomico ed enogastronomico, anche uscendo dalla città e spingendoci nelle zone circostanti” racconta Viglione. All’interno di questo programma c’è anche l’apertura serale del caffè, per la prima volta nella sua storia. L’offerta è curata dallo chef stellato Ugo Alciati di Guido Ristorante (Serralunga d’Alba).
“La storia non dev’essere una reliquia, ma qualcosa di vivace. Baratti non è l’unico locale storico di Torino, certo, ma abbiamo deciso di metterci in gioco a modo nostro. Vogliamo fare un po’ di casino per facilitare la creazione”.
Questo bel “casino” Baratti&Milano l’aveva già fatto dopo la Prima Guerra Mondiale, quando l’industrializzazione dei metodi di produzione dei dolciumi ma soprattutto delle caramelle ne aveva moltiplicato le fogge e le fatture. Da Baratti&Milano si trovano “dure e morbide, ripiene e gommose, gelatine e pastigliaggi; ai frutti tropicali, agli agrumi, alle erbe alpine, al caffè; dissetanti, balsamiche, digestive e frizzanti; rotonde, quadrate, rettangolari, multicolori; nude e incartate”. Alle quali venivano dati nomi fantasiosi e riconoscibili: Fiori di miele, Brina, Agrella, Alma, Fernet, Genziana, Piave, Imperiale, per citarne alcuni. Dentro l’incarto delle caramelle Classiche (brevettate nel 1907), Baratti&Milano sceglie di inserire la dicitura diffidate delle imitazioni. A dire che gli stemmi reali apposti sulle loro confezioni (a quel tempo importantissime) si potranno pure contraffare, ma il gusto no.
Continua Viglione: “La storia delle nonne di tutto il Piemonte passa dalle caramelle. Fino a qualche decina di anni fa le caramelle Baratti&Milano erano quelle da tenere sempre in casa. Sono un coacervo di memoria, oggi come allora, è un marchio che per alcuni è un’antonomasia. Con i giovani è più difficile, bisogna cominciare da zero. La nostra missione è tanto salvaguardare quanto costruire. Uno conserva, ma poi deve anche andare avanti”.
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Magari frega proprio quell’aggettivo, storico: “Si ha sempre la percezione che prevalga il passato, di non aver fatto nulla”. Ma a un certo punto, l’era di internet fa accadere il miracolo: qualcuno condivide la cosa giusta al momento giusto e di colpo anche il valore di qualcosa di “storico” diventa contemporaneo. “Allora riesci a far capire a una generazione chi sei, che non siamo un locale elegante, costoso, inabbordabile”. Anche nel passato era così. Non solo le signore frequentavano Baratti&Milano, ma anche le sarte e le classi meno abbienti. Nel lusso, Baratti&Milano è diventato Baratti&Milano perché ha saputo parlare alle diverse anime di una stessa città. Anima che vuole mantenere anche dopo l’acquisizione da parte di Elah Dufour Novi, investendo nella ricerca e nella valorizzazione del loro patrimonio, dal punto di vista archivistico in primis.
Parte di questa volontà si tradurrà nel progetto Vetrinista sarà lei, dedicato alle vetrine storiche di Baratti e curato da Luca Beatrice, già Presidente della Quadriennale di Roma. “Le vetrine sono finestre sulla città, sono modi per aprirsi alla collettività. Tanti artisti sono stati vetrinisti, mi viene in mente Andy Warhol. Allora noi coinvolgeremo artisti internazionali per lavorare su alcuni prodotti Baratti&Milano, creando un circolo virtuoso che sostenga anche gli artisti e i creativi della città”. E poi un altro progetto con l’illustratrice Elisa Seitzinger, che lavorerà sulle confezioni del Caffè per raccontare la Torino magica. Sottolinea Viglione:
I legami di Baratti&Milano con la cultura sono molteplici, ci piace uscire dal nostro posto, non stare fermi, raccontare una storia che non è solo la nostra, ma anche collettiva. Altrimenti non c’è narrazione
Tra i legami intrecciati da Baratti&Milano c’è, naturalmente, quello con la lavorazione e la storia del cioccolato; ma, più specifico sui costumi torinesi, anche quello con il Vermouth. “Alle 17 da noi si beve Vermouth o Vermouth soda”, perché questa bevanda tra vino e liquore è particolarmente legata al territorio piemontese. Vini amari, vini cotti e altri prodotti simili sono ravvisabili in quelle zone già a partire dal Medioevo, ben prima dell’avvento della ricetta di Antonio Benedetto Carpano che consacrò Torino città del Vermouth. Il principio, comunque, non cambia: vino bianco, zucchero, alcol, spezie ed erbe aromatiche.
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Non solo per concordanza: Baratti&Milano si inserisce nel flusso culturale anche per via (gentilmente) avversativa. Ciò accade se, per esempio, si prendono in considerazione le nuove forme di evasione (dolciaria), che oggi prendono corpo nelle bakery più che nelle pasticcerie, e che in molti casi “contagiano” anche queste ultime. Penso ai croissant cubici, sferici, e cose di quella risma. Viglione non ha dubbi: “La pasticceria ha regole ferree. Se un croissant è sfogliato in un certo modo e ha una certa forma, è perché le due cose funzionano bene insieme. A me interessa il contenuto, l’estetica sterile non fa per me. Mi interessano gli ingredienti, le storie che hanno da raccontare. Quella, per me, è alta pasticceria. Anche perché fare le cose nuove e trendy mi sembra più facile. Da Baratti&Milano, per esempio, non puoi inventarti come lavorare il cioccolato, le regole sono ferree. Ti dirò di più: credo che dovremmo tornare ad apprezzare quelle cose come i cabaret di paste della domenica. I super classici, i cigni di bignè con la panna, la Saint-Honoré. Sai, mio zio era pasticcere, e la domenica da noi era solo Saint-Honoré e torroni. Ora chi li fa? È sempre più difficile”.
Per il cruccio vero dei torinesi però, la merenda, Baratti&Milano ha la risposta e l’ha sempre avuta da 150 anni. Questa è una delle cose più importanti, forse la cosa più importante. Lo dice anche Viglione: “Quando qualcuno di caro ti fa visita a Torino, lo porti subito a fare merenda”. In una città che, per lei, sta ritrovando vivacità. Le sembra che le persone siano più felici. D’altronde, come scrive Alessandra Morra, “Il caffè è un luogo. Non solo uno spazio. Ed è un fenomeno culturale”. Pertanto, indagare i caffè, storici soprattutto, equivale a fare storia, antropologia, e allo stesso tempo a osservare una serie di spazi liminali dove il desiderio può assumere conformazioni diverse.
Forse è un genius loci, questo caffè interpretato da intellettuali, borghesi e popolo per le strade di Torino. Forse da fuori si capisce solo la superficie e per addentrarsi servirebbe la costanza della ritualità. Da provarci quest’anno e sempre, la prossima volta all’ombra della Mole.