Chobbo, Chosso, Lejjo, Piyo. Ecco di cosa parliamo quando parliamo di cucina bengalese. Un equilibrio tra sapori dolci, acidi, amari e piccanti, che proseguono in sfumature complesse, interpretate nel menu presentato da chef Ananya Banerjee, ospite nel ristorante indiano Cittamani (MI), di chef Ritu Dalmia. Qui, qualche settimana fa ha preso vita un pop up basato su questo apparente enigma, che significa letteralmente Masticare, Succhiare, Leccare e Bere, quattro “leggi” che raccontano in modo giocoso le esperienze sensoriali associate al cibo bengalese.
Un pop up indiano con sede in Italia. Ma cosa hanno in comune l’Italia e l’India?
Ritu Dalmia: “Beh, questa risposta richiederebbe pagine e pagine! Gli indiani e gli italiani sono entrambi molto orientati alla famiglia. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa in cui si trova ancora questo legame. Una famiglia indiana discuterà durante la colazione cosa cucinare per il pranzo, e durante il pranzo di cosa mangerà a cena. Sia gli indiani che gli italiani vi inviteranno a casa per un pasto al vostro primo incontro, a differenza di molti altri Paesi in cui ci si può incontrare al ristorante o al bar, ma l’invito a casa richiede molto tempo”.
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Un invito sempre aperto, almeno da Cittamani. Perché in India c’è una differenza tra i piatti che si cucinano a casa e quelli che si trovano nei ristoranti. Come è possibile allora che da Cittamani ci sia una cucina casalinga?
Ritu: “Sì, è vero che il cibo che si trova nei ristoranti è molto diverso da quello che viene preparato nelle case, ma quando abbiamo aperto Cittamani, otto anni fa, il mio obiettivo era quello di far assaggiare ai milanesi la cucina casalinga e depennare la loro idea di cibo indiano, di un cibo che sa solo di curry. Un cambiamento che, grazie a Dio, sta avvenendo in tutto il mondo, grazie a ristoranti indiani che hanno abbracciato la cucina casalinga e regionale, per andare oltre il semplice pollo tikka masala”.
Sicuramente dare il via a una serie di pop up, come sta accadendo da Cittamani, in un certo senso agevola questo “movimento gastronomico”, no?
Ritu:“L’idea è quella di far conoscere a Milano diverse cucine casalinghe, non di incassare, parliamoci chiaro. Parliamo di un’iniziativa che non ha senso dal punto di vista economico, ma che a lungo termine diventa molto utile per noi, perché educa il cliente che, diventando sempre più consapevole, inizia a conoscere ciò che mangia. E ovviamente ad apprezzarlo di più”.
L’India, non essendo un Paese, ma un enorme continente, porta con sé una miriade di cucine identitarie, per ogni suo Stato, motivo per cui è stato più che naturale dare il via a una serie di pop up, intenti proprio a raccontarle, esordendo dal cibo del tempio di Kerela, noto come Sadhya, seguito a sua volta da quello del Bengala, una regione molto vicina a chef Ritu, nata e cresciuta a Calcutta. Parliamo allora di cucina regionale, anzi, bengalese. Come racconta Ananya Banerjee, un dogma di questa regione è il Panch Phoron, una miscela di cinque spezie che comprende fieno greco, nigella, cumino, senape nera e semi di finocchio, utilizzata per temperare i dal, le verdure e le preparazioni a base di pesce. Ma la distinzione più caratteristica è la cottura lenta e stratificata. Le tecniche di cottura più tradizionali includono il dum (lenta), il bhuna (lenta con spezie) e quella in foglie di banana o di zucca (come il Paturi), procedure che, come nel caso del Kosha Mangsho (curry di montone cotto a fuoco lento) rende i piatti profondamente aromatizzati.
Chef Ananya, da diversi anni profondamente coinvolta nel mondo culinario, esplora e promuove le cucine regionali indiane, in particolare quella bengalese, tra storia ed evoluzione, con un percorso che spazia dalla consulenza per i ristoranti, ai pop-up e allo storytelling digitale, assicurandosi che le tradizioni culinarie meno conosciute non vadano perse. La stessa responsabilità che anche Ritu si è presa da anni, portandola a trasformare il ristorante in un polo di incontri gastro-culturali, proprio come la settimana dedicata alla cucina bengalese, al fianco di Ananya.
Ananya Banerjee: “Ogni piatto pensato per questo menu porta con sé l’essenza delle ricette tramandate nel tempo dalle famiglie, preservando i sapori autentici e le tecniche di cottura che definiscono la cucina bengalese. Dai piatti di riso aromatico ai dals (lenticchie), dai curry vegetariani e non, queste preparazioni mostrano il perfetto equilibrio tra spezie sottili e sapori decisi. Che si tratti del gusto confortante di un classico Paturi, dell’indulgenza di un Kosha Mangsho (montone cotto a fuoco lento) speziato, o della dolcezza del Sandesh o dell’Elo Jhelo, ogni piatto racconta una storia di nostalgia e orgoglio culturale”.
La cucina indiana è però spesso fraintesa, soprattutto al di fuori dell’India. Gli stereotipi che la vedono eccessivamente pesante, grassa e insopportabilmente piccante derivano dalla mancanza di esposizione alla sua vera diversità. Cittamani, con il suo approccio identitario ai sapori indiani, fa un ottimo lavoro per infrangere questi miti. D’altronde, l’India ha un panorama culinario incredibilmente vario. Dai piatti delicati e impregnati di cocco del Kerala, ai leggeri dhoklas al vapore del Gujarati e ai sottili kormas dell’Awadhi. Evidenziare questa diversità attraverso menu curati o racconti diretti può cambiare la percezione del cliente, anche grazie a un impiattamento più moderno e tecniche innovative, dettagli che presentano il cibo indiano in modo più raffinato, mantenendone intatta l’anima.
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Ananya: “Portare l’attenzione su tecniche come la cottura lenta, a vapore, l’arrosto e la fermentazione, è una responsabilità che però non deve diventare opprimente. Si tratta di sforzi piccoli e costanti: ogni piatto servito, ogni conversazione sul cibo, ogni menu elaborato con cura, contribuiscono al cambiamento. L’obiettivo non è quello di imporre un cambiamento dall’oggi al domani, ma di rimodellare gradualmente il modo in cui le persone percepiscono la cucina indiana”.
Italia e India, due cucine individuali, diversissime, ma assolutamente simili. Parliamo di un insieme di cucine regionali, che variano in base al clima, alla geografia e alle influenze storiche, tanto che così come la cucina italiana ha tradizioni distinte in Sicilia, Toscana e Lombardia, quella indiana varia ampiamente tra Bengala, Punjab, Gujarat, Kerala, etc. Il Bel Paese enfatizza gli ingredienti freschi e stagionali come i pomodori, il basilico, l’olio d’oliva e i formaggi, tanto quanto l’India predilige le spezie fresche, le verdure di stagione e i cereali disponibili localmente come riso, grano e miglio.
Ananya: “Ciò che mi è rimasto più impresso è il calore della gente e il loro amore per il cibo come forma d’arte. Camminare per i mercati, confrontarmi con la gente del posto e vedere il profondo rispetto che gli italiani hanno per le tradizioni culinarie mi ricorda molto la mia casa. Il modo in cui il cibo unisce le persone in Italia, proprio come in India, rafforza l’idea che il buon cibo trascende i confini”.
Molto più di un pop up, un viaggio italo-indiano che è servito a creare connessioni tra due cucine, due tradizioni condivise e un amore comune per i sapori autentici, che hanno esaltato ancor di più l’universalità del cibo.