Intervista
vino naturale
Insolente. Il vino ribelle
Intervista a Luca Elettri, vignaiolo nella campagna di Verona
Testo di
Cristina Ropa
Foto cortesia
Insolente. Il vino ribelle
7 minuti

Lunghe distese di campi curati alla perfezione vocati all’agricoltura intensiva si alternano a edifici abbandonati, o destinati ad altro, dove la natura cresce libera e rigogliosa. L’ordine e lo scompiglio, la staticità e la dinamicità, colori tenui e accesi coesistono e compongono il panorama della campagna in provincia di Verona. Anche la produzione di vini rispecchia questa dicotomia. Proprio nella terra prima al mondo per la produzione di vini convenzionali, sorgono realtà dove la conformità diviene sovversione, il controllo spontaneità, l’intervento con prodotti chimici sparisce per amore della vita e diviene osservazione e ascolto profondo e rispettoso del territorio e delle persone. Proprio immersa in una natura selvaggia, dall’affascinante bellezza di essere semplicemente ciò che è, sorge la casa di Luca Elettri, vignaiolo e fondatore di Insolente, un progetto famigliare di vino naturale. Accolti da Penelope, una dolce Labrador, e dal sorriso di Luca, varchiamo la soglia e ci dirigiamo insieme verso la cucina già allestita dove ci aspettano Alessia – la compagna – una calda stufa, salumi e formaggi artigianali, pane appena sfornato in casa e due gattini da coccolare. Un’ospitalità senza pari, un’atmosfera rustica, calorosa dove con spontaneità e gioia iniziano a fluire le parole insieme a tanto vino, in accompagnamento al racconto della storia di questo progetto straordinario artigiano.

Ho assaggiato per la prima volta un tuo vino due anni fa, un bianco acid pr 3 del 2018. Difficile dimenticarlo, eccezionale. Qual è la genesi di Insolente?

È una storia che viene da lontano. Ho sempre respirato il mondo dei vini perché i miei avi avevano una “frasca” – ovvero un luogo di ristoro per chi rientrava dai campi – dove veniva offerto vino casalingo. Avevamo una vigna e ho sempre seguito l’evoluzione delle sue produzioni, tutte per consumo familiare fino a quando, da appassionato, ho iniziato a seguire eventi e manifestazioni per poi arrivare a fondare a Roma insieme a Sandro Sangiorgi la casa editrice Porthos Edizioni, con cui abbiamo creato una rivista trimestrale Porthos dedicata al vino raccontato come un prodotto frutto della terra e delle mani dell’uomo, quindi in totale contrapposizione con la visione diffusa in quel momento. Ho trasmesso anche ai miei figli questa grande passione e sono stati loro a propormi di aprire un’azienda di vini naturali.

E com’è andata all’inizio?

Dopo aver realizzato la prima produzione nel 2016 abbiamo girato le enoteche del Veneto e in pochi mesi sono finite tutte le 8.500 bottiglie che avevamo prodotto. Invigoriti da questo successo abbiamo prodotto ancora di più prendendo dei vigneti in affitto. Ad oggi abbiamo 15 etichette di cui al momento solo 6 sono disponibili. In questi anni mi sono accorto che i ristoratori che tengono un vino naturale di alta qualità hanno sicuramente anche prodotti di filiera dello stesso livello. Non è il contrario invece. Il buon cibo non è indicatore di olio e vino buono.

Sul vostro sito si legge l’etimologia della parola “insolente”: “ciò che non è solito, che urta contro l’abitudine e i costumi. Impertinente, sfacciato”. Il tuo vino è così? 

In una regione come il Veneto, con la più alta produzione di vino al mondo e con Verona come capitale mondiale del vino industriale, fare un prodotto solo con l’uva è un atto di ribellione. Insolente è il giovane che non rispetta le regole imposte, precostituite. E il vino naturale ha l’animo di un giovane che non vuole stare dentro agli schemi imposti per definire la sua identità. Muta, cambia, si evolve. E non puoi controllarlo, imbrigliarlo. Lo puoi osservare, consigliare, ma devi lasciarlo libero di evolvere in ciò che è.

E le etichette colorate, fluo, quasi psichedeliche, cosa rappresentano?

Volevano dare un segnale di rottura con quelle nobiliari, con gli stemmi. Oltre a una grafica d’impatto che sovvertisse gli stereotipi, i colori fluo rappresentano la vivacità di un vino giovane e dinamico. Poi dal cerchio ampliandosi divengono sempre più delicati, seguendo il percorso ideale del vino dentro la bottiglia che con il tempo si ammorbidisce, diviene più elegante, armonioso, “saggio”. C’è anche un Qr Code con una descrizione del progetto che porta a una scheda dettagliata di quel vino.

Quali sono le caratteristiche di un vero vino naturale?

A differenza del vino industriale il vino naturale non deve avere nessun tipo di interferenza antropica. Devi coltivare le viti in un territorio votato, con una vigna abbastanza vecchia da essere ben radicata. Un’uva quindi che ti permetta di fare vino senza aggiungere altro. Se impari a custodire quello che la terra e il sole ti hanno dato nell’uva, divieni consapevole di quando esageri nella manipolazione di questo liquido magico che custodisce un’energia primordiale e che la perdi se intervieni quando non serve. Ti accorgi che meno fai e meglio è. Bastano poche cose al momento giusto. Devi essere in sintonia, in ascolto. E poi il vino artigianale è molto lunatico. Puoi bere un vino oggi ed essere entusiasta e poi berlo in un altro momento e sentirlo diverso. Soprattutto da giovani, appena imbottigliati, sono molto mutevoli e sensibili.

Come riesci a metterti in sintonia con la vigna?

Credo sia un discorso energetico, di cuore più che di razionalità e di metodo. Quando entro in una vigna mi faccio assorbire dagli aromi, dalla situazione che trovo. Cerco di ascoltare il più possibile quello che mi trasmette, quell’energia che viene dalla vitalità di tutti gli elementi naturali che la compongono. Cerco di custodirla e portarla nel calice affinché si possa percepire nel vino.

E il vino industriale come lo definiresti?

Una bevanda alcolica di cui l’uva è parte della ricetta per comporla. Solitamente il territorio in cui vengono coltivate le vigne per produrlo è sterile, io lo definisco lunare. Viene sterminata tutta la microbiologia della vigna, che caratterizzerebbe il vino proveniente da quella terra, in modo da avere un prodotto simile tutti gli anni, stabile, ripetitivo, banalizzando l’essenza del vino.

Ci sono dei vini naturali che si fingono tali ma in realtà non lo sono?

Oggi il vino naturale è diventato trendy, ma spesso è un mondo in cui si concentrano tanti falsi. Quando giro per l’Italia per eventi un mantra che si ripete è “va bene vino naturale, ma deve essere pulito”. Con pulito intendono senza fondo, senza quella caratteristica della fermentazione naturale. Prendi una donna o un uomo con determinate caratteristiche fisiche e caratteriali e inizia a togliere tutto quello che contraddistingue quella persona. Cambia totalmente, perde la sua bellezza, diviene altro. Nel vino industriale viene uccisa tutta la microbiologia, tutta l’energia, tutte le caratteristiche peculiari dell’uva, del territorio. Non si lascia quindi la libertà alla natura di esprimersi, di rivelare il suo potenziale.

Oltre a seguire le fasi lunari c’è una particolare filosofia a cui ti ispiri?

La mia prima folgorazione per il vino naturale fu assaggiando il vino prodotto da Nicolas Joly, un vignaiolo francese che seguiva in modo religioso le teorie del filosofo Rudolf Steiner fondatore dell’antroposofia e che in seguito si è convertito ai metodi biodinamici. Quando ho assaggiato quel vino ho capito quanto le uve, che normalmente assaggi per fare vino convenzionale, siano povere. Quell’esperienza mi fu da stimolo per approfondire. Ho avuto in seguito modo di capire meglio questa sua visione, unica per la sua capacità di coinvolgere i sensi e la razionalità nel sentire; anche se ora ritengo i suoi metodi biomeccanici inutili e violenti perché, pur trattandosi di pratiche omeopatiche, inseriscono comunque qualcosa di esterno costruendo una microbiologia che non è autoctona ma alloctona. È importante per fare vino naturale riuscire a comprendere che ogni fazzoletto di terra ha la sua anima e che va valorizzata questa sua unicità. Nell’approccio al vino sono più vicino a un filosofo giapponese Fukuoka che invita al non fare, al non interventismo.

Dove hai riscontrato più sensibilità per i tuoi vini?

Ho sempre venduto la maggior parte dei miei vini in Italia e, ad oggi, credo che sia Roma la capitale mondiale del vino naturale. Cerco di essere presente con le nostre bottiglie nei locali che rispettano e che sanno comunicare quello che facciamo. In questo modo si costruisce un rapporto di amicizia con i clienti, in cui a un certo punto non si distinguono più il consumatore, l’intermediario… Perché anche loro magari provano a produrre del vino naturale. È mettersi in sintonia e creare una rete importante di continuo dialogo, confronto e crescita. È uno dei tanti, bellissimi aspetti di questo lavoro.


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