È il primo a stringermi la mano appena varco la soglia del Fabbri 1905 Shop a Bologna per l’evento di martedì 21 gennaio in occasione della presentazione del suo libro Il Figlio del Bar. Mattia Pastori, di professione mixologist in una carriera che lo ha visto protagonista dei più prestigiosi hotel del mondo, come il Park Hyatt, il Mandarin Oriental e l’Armani Hotel di Milano – in cui ha contribuito all’apertura del bar – fondatore di Nonsolococktails, la prima agenzia italiana di servizi beverage integrati.
Non smette per un istante di sorridere, di spiegare con accuratezza gli ingredienti che andrà a utilizzare per i suoi cocktail degustazione, di raccontare con un coinvolgimento che ti travolge la sua passione nata in un piccolo bar di famiglia per poi espandersi a tutto il mondo. Mentre lui prepara con maestria, e io sorseggio, un delizioso e analcolico Mediterranean Daiquiri (realizzato con il Bergamotto Plus di Fabbri, storica azienda bolognese che per l’occasione celebra il contributo della Premiata Distilleria Fabbri al mondo della mixology) e a seguire un Eletronic realizzato con Tropical Blu sempre di Fabbri, ci addentriamo nella storia di Mattia fatta di impegno, mente, cuore, come lui stesso racconta nel libro, di viaggi, sogni, ironia e tanta autenticità.


Il Figlio del Bar
Nel tuo libro affermi che “Per me, il bartending è sempre stato qualcosa di più di un semplice lavoro. È un modo per connettermi con le persone, per creare momenti unici. La preparazione di un drink è solo una piccola parte di quello che facciamo dietro il bancone: la vera magia avviene nell’interazione con il cliente”. In che modo riesci a creare questa magia con la persona che hai di fronte?
Quando sei un barman e interagisci con i clienti, hai poco tempo e devi dare il meglio di te. Ti rendi conto quanto sia l’ospitalità a fare davvero la differenza. Secondo la mia esperienza la base è sviluppare gratitudine per la persona che hai di fronte. Salutarla e sorriderle sembrano gesti banali, ma non lo sono affatto e troppo spesso vengono usati non perché si desidera davvero farlo, ma perché si deve. Riuscire invece a mettere a proprio agio l’altra persona, sorriderle con gli occhi, con l’anima è ciò che permette in qualsiasi bar, che sia di un piccolo paesino o di un hotel di lusso, di creare la magia.
Da dove nasce questa tua grande passione?
Nel bar dei miei genitori in provincia di Pavia, dove sono cresciuto, un paesino di 400 persone. Mi piaceva la dimensione della piazza. Uscivo al mattino per andare a scuola e poi andavo dritto al bar e osservavo intorno. C’erano persone che giocavano a carte e fumavano, altri parlavano… Era un punto di riferimento, una calamita per le persone del paese, un luogo dove sentirsi a casa, in famiglia. Lì ho iniziato a fare le mie prime spremute e i miei primi cappuccini, sbagliando a volte.
Cosa ti affascina di più del tuo lavoro?
C’è stato un periodo in cui i miei genitori avevano lasciato l’attività. Mio nonno non stava bene e mia mamma doveva occuparsi di lui. Essendo sempre stato innamorato delle bottiglie di vetro trasparente, quell’anno in cui lasciarono tutto iniziai a tenere da parte tutte le bottiglie che trovavo. Bottiglie di acqua tonica, di succo ecc… Le riempivo di tempera di matita colorata, aggiungevo dell’acqua e le appoggiavo in fila sopra a una mensola nella mia stanzetta. Quando filtrava la luce di giorno illuminando le bottiglie il colore si rifletteva sulle pareti. I miei genitori ancora mi prendono in giro per quel momento in cui è nato l’amore, l’ispirazione per il mio lavoro.


Quindi il colpo di fulmine è stato con gli ingredienti?
Sì. Sentire il loro profumo e miscelarli… sono il veicolo che mi ha portato poi ad apprezzare il servizio, l’ospitalità, gli standard lavorativi, i manuali. Ora per me creare l’atmosfera, far sentire subito accolte le persone è fondamentale. Qualche giorno fa, ad esempio, abbiamo lavorato per allestire un pranzo dentro un capannone. Chiedevano il tavolo con base di legno, volevano usare le piastrelle come sottopiatti, una tegola come porta pane. Tutto bellissimo ma creare l’atmosfera giusta in un capannone non è semplice e non bastano questi aspetti. Devi aggiungere le luci giuste, la musica giusta e così crei un’atmosfera accogliente. Quando entri non sono solo l’olfatto e la vista a essere subito coinvolti ma anche l’udito, quindi, è importante curare tutto al massimo affinché una persona entrando in un luogo ne rimanga catturata.
In cosa si contraddistingue oggi il mondo della mixology rispetto al passato?
La più grande evoluzione la possiamo vedere sulla qualità dei prodotti e quindi degli ingredienti. Si è lavorato tanto anche sulla tecnica con cui unirli. Un altro aspetto rilevante oggi è la storia che sta dietro a tutto ciò che proponi. Oggi è fondamentale raccontare sempre il perché facciamo una determinata cosa, perché scegliamo un determinato ingrediente. Occorre sempre trovare e condividere la motivazione, il perché.
E qual è la motivazione che ti ha spinto a scrivere un libro?
Ho iniziato con la consulenza poi mi sono reso conto che le persone avevano bisogno di essere formate e così questo aspetto è diventato il secondo obiettivo della suola che ho fondato: Nonsolococktails. Il libro è stato pensato per coloro che si stavano formando, per rendere accessibili i contenuti e poi si è sviluppato nel desiderio di condividere un percorso professionale e di vita divenuto per me una vera a propria vocazione, per raccontare non solo la preparazione di drink, ma anche per celebrare il contatto umano e l’empatia. Ad oggi i corsi e il libro non sono solo per gli appassionati o per chi desidera svolgere questa professione ma anche per ragazzi che devono essere reinseriti nel mondo del lavoro.


Riguardo a questo aspetto in che modo li state aiutando?
È stato fondamentale scrivere il libro anche per arrivare a loro in modo semplice e per trasmettere loro, attraverso la mia esperienza, che ci sono sempre nuove possibilità. Facciamo corsi per ragazzi che vengono da situazioni difficili come spaccio, vita di strada e altro in collaborazione con l’Associazione Onlus Comunità Nuova di Don Gino Rigoldi, cappellano del Carcere Beccaria di Milano. Abbiamo iniziato con lui cinque anni fa con un primo corso nel 2019. L’anno scorso ne abbiamo fatti quattro e uno per la prima volta proprio dentro il carcere. L’esperienza più difficile della mia vita, ma vedere il loro impegno nell’essere lì a imparare per riscattarsi mi ha colpito molto ed è il motivo per cui continuiamo a fare questi corsi e a trovare mezzi per poter comunicare sempre meglio anche con loro.
Tornando al libro fruibile per tutte e tutti, perché una persona dovrebbe cimentarsi nella preparazione di un cocktail a casa?
Per sperimentare quanto sia semplice l’esecuzione e così vivere un momento speciale quando vuole non solo per le ricorrenze come la cena di Natale. Quello che ti raccontavo prima degli ingredienti vale anche per le sperimentazioni. Puoi anche sbagliare le dosi le prime volte ma alla fine bevi sempre bene se gli ingredienti sono buoni come quelli utilizzati oggi da Fabbri. Al massimo dormi sul divano e poi ti risvegli “fresca come una rosa”.