Prendete una carta geografica di Napoli e osservate lo spazio di terra che va da Posillipo a Capo Miseno, dalla costa verso l’interno. Non sembra un pezzo di formaggio Emmentaler pieno di buchi? Quei buchi sono crateri e sono una trentina, compresi in un’area grande 200 chilometri quadrati. Sono i Campi Flegrei, ovvero i campi ardenti, la più vasta zona vulcanica d’Europa.
“Sotto il cielo più limpido, il terreno più infido”, scriveva lo scrittore tedesco Goethe nel suo soggiorno napoletano a fine ‘700. La bellezza in superficie e il terrore sotto i piedi deve essere lo stato d’animo che accomuna chi abita questi comuni: una buona parte della città capoluogo, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto, Giugliano. Gli sciami sismici – anche a fine aprile mentre scriviamo – si ripetono con frequenza ormai da un anno e il martedì si aspetta il nuovo bollettino dell’INVG (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) che comunica l’andamento dell’attività vulcanica. Il dato che salta all’occhio è quello dell’innalzamento del suolo, da 1 a 2,5 centimetri al mese. Dal punto di vista tecnico si parla di bradisismo, un periodico sollevamento e abbassamento del suolo, in gergo letterario lo chiamano “il respiro del vulcano”. Di fatto la fase di innalzamento genera terremoti deboli, ma frequenti. Un fenomeno geologico che coinvolge la scienza, ma anche la vita delle persone, seicentomila nella caldera dei Campi Flegrei che, a modo loro sono un po’ nomadi, si muovono. Ci sono 72 ore a disposizione invece per lasciare questi posti in caso di eruzione. Questo, almeno, è il tempo previsto dal piano di evacuazione della Protezione Civile.
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