Passato & presente al futuro della Famiglia Tinari
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di Villa Maiella
Il mio primo ricordo di Villa Maiella combacia col fotogramma di Peppino Tinari intento a porzionare un cosciotto intero d’agnello per una tavolata di sei persone. Che uomo, che oste, che cuoco: un innato promoter agreste (anche volto televisivo e divulgatore all’estero) di ogni zolla territoriale presente intorno a sé. La moglie Angela, cuoca e pasticciera provetta, operava invece vigile in cucina mentre i due figli maschi risultarono “non pervenuti” in quell’occasione. Nessuna crisi familiare in atto, tranquilli, ma inconsciamente assistevo passivo (e gaudente) a quell’interstizio generazionale che avrebbe portato alle fattezze attuali del ristorante. Sono schietto: in questa insegna (all’epoca già fregiata di stella Michelin) ospitalità e manico ai fuochi sono sempre stati esemplari. Accoglienza da record e un tripudio materico impresso in ogni vivanda, pronta a scolpire con ardore le usanze di quell’avamposto fatto da roccia e ferro che è Guardiagrele, sorvegliata a sua volta dalla vetta della Maiella.
La storia del nucleo familiare poi, seppur nota e declamata a più voci (noi ve l’abbiamo raccontata su Cook_inc. 17), detiene sempre un suo fascino: una microscopica osteria con mescita di vino eretta da Arcangelo e Ginetta Tinari nel ’68 che muta nel tempo, coerente alle sue radici, sino a tramutarsi in uno dei ristori più rappresentativi d’Abruzzo. Romantico certo, ma guardiamo al presente, perché i due fratelli mancanti all’appello nella mia visita esordiente sono oggi il motore pulsante di Villa Maiella con un passo su strada davvero impressionante in ogni comparto dell’attività.
La parola chiave che vige qui è “dettaglio”, ma mentre chi è bravo solo a parole recita details matter spesso fuori rotta, Pascal (in sala) e Arcangelo (in cucina) hanno preso in custodia questo termine a mo’ di missione rivolta al loro mestiere. L’aspetto più bello? Non gli è stato richiesto dai genitori o da chissà chi, agiscono così perché non saprebbero fare altrimenti. Genetica attitudinale. Così, mentre Peppino e Angela al tempo mi rifocillavano con prelibatezze, loro due erano in trasferta formativa per capire chi fossero e chi sarebbero diventati tornando a casa. Pascal prima presso L’Auberge de L’Ill in Francia e poi intento a guadagnarsi la stima del maestro Santini al Pescatore; Arcangelo immerso integralmente nell’ecosistema di un mito d’Oltralpe quale Michel Bras in quel di Laguiole. Palestre tutt’altro che light, ve lo assicuro: ho avuto anche la fortuna di assistere al rientro di entrambi e all’integrazione graduale che hanno promosso dentro le mura del locale. Perché, tengo a sottolinearlo, se pensate sia una barzelletta apportare modifiche o cambiamenti in un organico già consolidato da anni vi sbagliate di grosso. Non che i familiari abbiano mai ostacolato i figlioli nelle loro idee – anzi – ma è noto come alcune dinamiche non siano semplici da sviluppare nel quotidiano. Detto ciò, i due fratelli ci sono riusciti alla grandissima, maturando caratteri diversi, ma complementari tra loro.
Pascal e Arcangelo: nuova guardia a Guardiagrele
Il modello di sala messo in scena da Pascal è attualmente encomiabile se lo si guarda sia con la prospettiva del cliente sia con quella di un addetto al settore. Oltre all’interazione sartoriale ricamata con gli ospiti è insita in lui una verve maniacale (non malata!) incessante verso qualsiasi sfaccettatura del servizio o di quel che lo intacca. Da lui per primo è partito il desiderio del restyling degli interni della struttura, adottando una cura smisurata di ogni ambiente: tende a scomparsa insonorizzanti per le vetrate; restauro stilistico della hall (Villa Maiella è anche albergo con stanze) tutelando cimeli di famiglia accostati a elementi moderni di fattura artigiana; studio certosino dell’illuminazione di ogni singolo tavolo; setting del dehors esterno (anche per le atomiche colazioni); l’impostazione dei menu; la scelta di suppellettili o strumenti modellati per i momenti del pasto (vedi lo strepitoso carrello dei formaggi); l’attenzione per l’impianto Hi-Fi e per la scelta musicale diffusa in background; sino agli album da colorare ideati per i bambini e stampati in casa nuovi di zecca ogni mese. Vi rendete conto?
E poi, non tralasciando il lato primario, c’è la formazione della sua squadra e dei singoli ruoli (distribuendo un grado di responsabilità ammirevole a tutti) in combo all’ampliamento della cantina e all’upgrade della sua fruizione: da parte del cliente e da quella team stesso. Proprio Maria Pia Costanzo, brillante figura di sala a cui Pascal delega spesso le redini del servizio, mi spiega come tramite un portale online (consultabile su tablet dagli ospiti e dallo staff in simultanea) presso Villa Maiella abbiano reso drasticamente più accessibile la carta vini. D
Divisa per filtri – quasi Amazon Style – in ordine di abbinamenti, degustazioni al calice, vitigni, maison, fasce di prezzo, tipologie di bevibilità e molte altre finestre visionabili quasi a mo’ di gioco; conferendo inoltre la possibilità in diretta ai ragazzi di sapere la collocazione esatta di ogni singola bottiglia in cantina, evitando margini di errore o tempi morti.
Scivolando poi nelle cucine – per parlarvi di Arcangelo – risulta cruciale lo scambio sinergico redatto dai due fratelli negli anni. “Pascal è un filtro fondamentale per il mio modo di gestire i prodotti, pensare i piatti e per il mio temperamento restio all’uscire in sala – spiega proprio il cuoco – abbiamo una linea basata molto su ingredienti di piccoli produttori, scanditi dalle stagioni, dalla reperibilità e dalla mia esigenza di non sprecare mai nulla. Solo grazie a Pascal riesco a creare una rotazione funzionale delle proposte in carta, oltre alla collocazione opportuna di alcune portate in un percorso degustazione che segue i gusti e le esigenze dei clienti. Penso immediatamente a ricette a base di interiora o a tagli in tiratura limitata che brevetto fuori menu e che non troverebbero alcuna applicazione senza la sua lettura così sensibile di chi si siede qui da noi”. Ecco, Arcangelo è – di primo acchito – l’animo più ruvido e distaccato dalle dinamiche sociali del ristorante. Un cuoco puro come se ne vedono pochi in giro, che ogni mattina ingaggia una levataccia per montare sul trattore e curare l’azienda agricola di famiglia: già perché, non parchi, i Tinari gestiscono anche appezzamenti di terra con cereali, ortaggi, frutta e una fattoria di maiali neri d’Abruzzo dai quali producono salumi privi di additivi (fenomenali). Il paradosso nella personalità di Arcangelo è che, superato l’impatto iniziale, non solo è un oratore provetto dal carisma travolgente, ma che il giga-cuore distribuito nella manovalanza contadina lo riporta paro paro nelle relazioni umane e nella stesura dei suoi esercizi culinari.
Manualità da capogiro che sorprende e strappa un sorriso all’unisono: da quelle manone segnate sul campo e dalla sua fisicità erculea emergono piatti distinti da una finezza esecutiva scioccante. Intrattenerci una conversazione random vi catapulterà freneticamente alla scoperta ultra-approfondita di ogni fornitore con cui collabora (che conosce a menadito rispettandone gesti e tradizioni allo stremo). Il dettaglio, ancora lui, a far da comun denominatore per questa fratellanza di sala & cucina. A coronare il circuito di beltà, Peppino, Angela e anche nonna Ginetta restano operativi non mollando mai un colpo. Ammirarli all’opera mangiando qui è poesia ineluttabile per chi ama questo mondo.
Neoclassicismo agricolo & finezza contaminata
Cosa si mangia quindi? Una mirabile commistione tra il repertorio classico di Villa Maiella (i capisaldi di famiglia riabilitati con tatto) e l’indole contundente di Arcangelo alle stufe: fondata al 90% sulla materia prima (quella autentica, procacciata direttamente alla fonte) e sulle sue doti elettive nel massimizzarla con cotture enciclopediche, accostamenti acuminati e una lampante fulgidità gustativa. Per fornire una mappa immediata del luogo e dei saperi tramandati qui, planano sulla tovaglia un Turbante di patate intagliate a mo’ di pasta in crema di pecorino di Farindola; un Pan di cristallo (soffiato come vetro) ripieno di burro e sormontato da un drappeggio di prosciutto autoprodotto; infine, un iconico trattato spalmabile di questa realtà: Cupoletta di lardo montato che matematicamente saprà fiondarvi in rehab i giorni a seguire per il grado di assuefazione che causa. Pascal sceglie di abbinarci un Tom Collins di apertura che scopriamo esser un suo feticcio miscelato: pare ne abbia testati un centinaio in giro per il globo prima di arrivare a questa foggia definitiva.
Non solo terra in menu: dalla Maiella l’Adriatico si scorge appena, ma lo chef recupera gemme ittiche solo quando il suo pusher di fiducia gliene riserva esemplari di rango e pescati in ottica selvaggia. Ecco, quindi, Veli di calamaro tingersi in guisa soave con lo sprint mediterraneo di cetriolo, yogurt e senape; o ancora il Fiore di zucchina ripieno di stracciatella, irrorato da una finissima salsa ai crostacei con olio alle olive nere che unifica le coste autoctone a quelle francesi in un rincorrersi di crunch vegetali e morbidezze iodate. Il Pomodoro a Pera (varietà indigena di Francavilla) servito nel suo stesso nettare aromatizzato all’aglio con un pesto di basilico verde brillante distilla l’idea più radiosa dell’estate che potreste immaginare in un piatto. Maria Pia, su traccia di Pascal, ci piazza anche un Tintilia rosso molisano – servito freddo – che ne allunga l’intensità al palato con grinta puntuale. Cimentarsi col minimal rivela tutta la classe del cuoco e lui ce lo ricorda con la Coppa di testa di maiale nero (sempre fait maison) poggiata con semplicità apparente su crema di pistacchio e polvere di peperone dolce. Ceffoni e carezze di callosità/grassezze in equilibrismo trionfale. Il Farro mantecato a mo’ di risotto è fisso in carta quale ingrediente/testimone di un’appartenenza agricola: il condimento varia col flusso stagionale, ma quello al tartufo estivo e jus di vitello è decisamente una delle sue vesti più felici. Insostituibili anche i Tortelli di burrata, salsa allo zafferano de L’Aquila e lenticchie di Caprifico croccanti – eleganza e armonia accomodate in sfoglia – o la Chitarrina di pasta tipica di questi lidi: tuffata nel ragù d’agnello non tradisce mai, anche se la variante al pomodoro fresco ed erbe aromatiche sorprende e conquista per le trame evocative avvolgenti. Prima del reparto carnivoro, contemplando solo quel che l’animale può offrire in natura, interviene un passaggio sulle interiora a cui Arcangelo preme molto. “Sono le più complesse da maneggiare e tenere in linea, sia per la tracciabilità dell’ingrediente sia per la trasformazione espressa in cucina – spiega – non concepisco l’idea di trovare il 5/4 fisso nei menu se non se ne conosce la provenienza e se non si lavora con la dovuta attenzione. Meglio non averlo o inserirlo fuori carta quando sono certo di quel che tratto con i miei ragazzi”.
Impossibile contraddirlo, in particolare dove aver guaito di piacere in staffetta con le sue Animelle di cuore di vitello, asparagi bianchi e salsa bernese (impressionanti) o il Cervello cotto poché con crema di mandorla e albicocca, ove il commento “mind blowing” non potrebbe risultare più adeguato. Se poi volete sondare anche il lato regale delle frattaglie, chiedete a Pascal se è disponibile del foie gras (di norma è stabile nel degustazione): il cuoco ha intrecciato un legame intimo con uno dei pochissimi produttori etici di fegato grasso in Francia – Maison Mitteault – e lo celebra con una sigillatura diretta sul fuoco vivo della brace (brevettata autonomamente) che non ha eguali. La scaloppa servita con fichi marinati e crema di latte acida è da ribaltarsi, ma dovete provare il prototipo sperimentale dello stesso foie: cotto e stagionato in cera d’api come un salume e spalmato sul pane caldo alla frutta secca, assumendo quasi la testura di una terrina risulta a dir poco geniale. In chiusura, potrei elogiare (e lo faccio in volata) il Maialino con misticanza e hummus di ceci o il Controfiletto di pecora con fondo al Montepulciano e cipollotto; ma il main course in grado di stendermi, è stato il doppio servizio della Faraona di un micro-allevatore super local: il petto cotto lentamente sull’osso e abbinato al mais in diverse sfumature; la coscia fritta in virtuoso deep fried con ketchup di carote, salsa acidula di pomodoro e patate crispy. Devastante.
Per la pasticceria, regina sovrana rimane mamma Angela: il suo Millefoglie alla chantilly, e i petit fours, risuonano quali gioielli intoccabili d’arte bianca. Sfidare Arcangelo in questo comparto però non lascia affatto delusi: se è in buona potrà rispolverare Le coulant au chocolat appreso alla corte di Bras (sì, proprio il pluri-plagiato Tortino dal cuore morbido); altrimenti le sue digressioni dolci applicate alle verdure irradiano di ulteriore contemporaneità la gamma di contaminazioni che già illuminano questa tavola. Asparago, cioccolato bianco e arachidi; o lo scoppiettante Pinzimonio (pan di Spagna all’olio, gelato al levistico, sedano rapa con demi-glace di carota e zuppetta di latte, olio e pepe) ne sono gioiose espressioni.
Ah, che sbadato, se amate la caseina come me, il servizio dei formaggi redatto da Pascal è uno step da non mancare per movenze, dialettica e selezione dei caci esposti in bella mostra sul carrello. La verità è che qualsiasi cosa qui andrebbe vissuta e sviscerata all’infinito, proprio per quell’attitudine al dettaglio che aleggia onnipresente nel ristoro. Il modo migliore resta quello di andare a trovare questa incredibile famiglia abruzzese, carpendone integralmente la storia, l’evoluzione in atto e l’ineguagliabile approccio che tutti insieme hanno inciso nel tempo.
Villa Maiella
Via Sette Dolori, 30
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Tel: +39 0871 809319
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