Testo di Jackelin Coloma
Illustrazioni di Virginia Giurlani
Le pratiche alimentari contemporanee sono figlie di tradizioni, di valori, di contesti ambientali e sociali, oltre che di scambi interculturali e influenze reciproche. Attraverso il cibo raccontiamo le nostre radici, il nostro patrimonio e la nostra appartenenza a una comunità. La selezione, la preparazione e il consumo di alimenti specifici sono quindi un potente strumento di espressione culturale e un canale privilegiato per il dialogo tra diverse identità culinarie. Storicamente, questo processo non è stato privo di sfide e complessità, come testimoniano le cucine creole in Sudamerica, Caraibi e nel Sud degli Stati Uniti: in questi luoghi si sono uniti sapori indigeni, europei, africani e asiatici, in un difficile percorso segnato da colonialismo e schiavitù. Esplorare il ruolo del cibo nella costruzione e nel mantenimento dell’identità ci consente di comprendere come le abitudini alimentari siano cambiate (e continuino a cambiare), anche in risposta a influenze provenienti da contesti culturalmente e geograficamente lontani. Questo processo di trasformazione e adattamento riflette non solo il dinamismo delle culture, ma anche la capacità delle comunità di integrare nuove esperienze pur mantenendo un legame profondo con le proprie tradizioni.
La cucina come simbolo di identità
Ogni cucina racchiude un sistema di pratiche, valori e significati condivisi da una comunità. Questi elementi sono il risultato dei fattori climatici locali, che hanno un ruolo cruciale nella scelta degli ingredienti e nello sviluppo di tecniche di preparazione e conservazione. Ogni tradizione culinaria è anche il risultato di abitudini di consumo, celebrazioni rituali, regole di convivialità e scambi culturali, che possono variare a livello regionale, familiare e persino individuale. Attraverso questi aspetti, ogni popolazione o area geografica trova un importante elemento identitario, uno scrigno di tradizioni che forgiano un patrimonio immateriale di inestimabile valore.
Una nuova definizione di cucina coreana
Per capire come nasce un’identità culinaria, osserviamo il caso della cucina coreana (hansik) tradizionale: recenti studi hanno individuato due novità importanti che la distinguono dalla cucina cinese, prima ritenuta la sua principale fonte di ispirazione. La prima novità riguarda la valorizzazione delle risorse alimentari: nonostante sia innegabile l’influenza cinese sulla cucina asiatica, la cultura alimentare coreana storicamente si è sviluppata in maniera pressoché indipendente da essa, a partire dai metodi di conservazione. Mentre in Cina si sono diffuse tecniche come la frittura e la salamoia, in Corea la produzione limitata di olio da cucina ha incentivato lo sviluppo della fermentazione di verdure, di pesci e di legumi. Questa pratica si è ampiamente diffusa non solo perché evita il deterioramento degli alimenti, ma anche perché arricchisce e caratterizza i sapori dei piatti coreani con preparazioni che ancora oggi sono pilastri della cucina locale, come il gochujang (pasta di peperoncino) e il doenjang (pasta di fagioli di soia fermentati).
L’ hansik richiama un’identità culinaria unica anche attraverso i suoi ingredienti e abitudini alimentari specifiche. Oltre alla fermentazione, regnano un’ampia varietà di piatti a base di riso e cereali, olio di sesamo e di perilla, verdure e aromi con proprietà medicinali come aglio, cipollotto e zenzero. A differenza di altri luoghi dove il consumo di riso è elevato, in Corea questo ingrediente ha un ruolo tutto suo: il pasto non si basa solo su “che cosa mangiare”, ma su “che cosa mangiare con il bap (riso bianco al vapore)”. La risposta sta nella tradizione unica dei banchan, piccoli ma immancabili contorni a base di diversi ingredienti (verdure, carne o pesce) che variano a seconda delle regioni e della stagionalità. Tra le innumerevoli opzioni presenti su una tavola coreana ben imbandita, domina indiscusso il kimchi, tradizionalmente a base di foglie di cavolo baechu condite principalmente con gochugaru (peperoncino in fiocchi), gamberi salati e fermentati, aglio, cipolla e zenzero, da consumare al momento o dopo un periodo di fermentazione che lo arricchisce di probiotici.
Scambi culturali e nuove tradizioni alimentari
Le tradizioni alimentari attuali sono l’eredità di incontri culturali passati e presenti. Da sempre accogliamo elementi caratteristici di altri luoghi, dagli ingredienti alle tecniche di preparazione e spesso ci sembra che queste componenti siano sempre state parte della nostra cucina. L’arrivo di Colombo nelle Americhe ha aperto un nuovo capitolo nella storia delle cucine mondiali, offrendo un buon punto di partenza per comprendere i risultati dei contatti tra popolazioni e culture alimentari. Come sarebbe oggi il Mediterraneo senza il pomodoro, base della pizza e del gazpacho? E la cucina irlandese senza le patate? Facendo un viaggio in senso contrario, come sarebbero molte regioni americane senza la carne di manzo o di maiale, fonti proteiche introdotte dagli europei? Questi alimenti, inizialmente considerati estranei o persino dannosi, sono stati gradualmente integrati, tanto che oggi è difficile immaginare un’alimentazione che non li includa. Questi processi di scambio continuano ancora oggi, costantemente plasmati da commerci, canali globali di comunicazione e flussi migratori.
Migrazioni e trasformazioni culinarie
Le migrazioni non influenzano solo le pratiche alimentari degli immigrati (che devono fare i conti con ingredienti nuovi), ma possono anche trasformare le cucine delle società ospitanti. La curiosità verso nuovi abbinamenti e sapori spinge chef e appassionati di cucina ad accogliere altri usi, spesso dando vita a fusioni che esprimono una creatività culinaria capace di trascendere i confini geografici e culturali. Un esempio significativo è quello degli Stati Uniti, storicamente luogo di incontri fra culture, dove anche cucine apparentemente distanti si uniscono in armonia. Piatti come i tacos al bulgogi (manzo marinato con salsa di soia, zucchero e pepe nero) o le quesadillas al kimchi riflettono l’incontro fra tradizioni messicane e coreane, mentre i filippini trasformano la New York cheesecake in una colorata versione all’ube, un tubero di colore viola e con un gusto dolce che ricorda il cocco e la vaniglia. Anche l’Italia esprime una vena dinamica e multiculturale: ravioli allo zafferano con ripieno di ossobuco uniscono tecnica cinese e sapori milanesi, mentre il sando giapponese (sandwich con shokupan, un morbidissimo pane al latte tipicamente farcito con una cotoletta di maiale) sposa la cucina piemontese con un ripieno di fassona.
Globalizzazione e ruolo delle tradizioni alimentari
La globalizzazione favorisce indubbiamente gli incontri tra culture e riduce le distanze tra modelli alimentari diversi, ma questo ha sollevato preoccupazioni sulla standardizzazione alimentare e la possibile perdita delle identità culinarie locali. In risposta a questo fenomeno, molti paesi e comunità stanno riscoprendo le cucine locali, riconoscendole come strumenti essenziali per salvaguardare l’identità culturale. Questo rinnovato interesse contribuisce anche a promuovere le proprie tradizioni gastronomiche a livello internazionale: osservando nuovamente la Corea, emergono campagne di marketing, eventi culturali e iniziative governative come il progetto Global Hansik, nato nel 2008 per rendere la cucina coreana una delle cucine etniche più popolari al mondo entro il 2017. Portare la tradizione sotto i riflettori ha dato i suoi frutti: fra molti altri, hanno fatto il loro ingresso sulla scena globale diverse tipologie di kimchi, cibi di strada come tteokbokki (gnocchi di riso in una salsa dolce-piccante), gimbap (rotoli di alghe e riso, popolari nella versione ripiena di verdure e bulgogi) e il pollo fritto coreano (molto croccante e abbinato a diversi tipi di salse).
Riavvicinarsi alle tradizioni non significa tornare indietro nel tempo: si creano nuove connessioni culinarie mirate a esaltare le risorse di un territorio, in un processo evolutivo in cui la storia gastronomica dei luoghi e delle persone incontra esigenze e innovazioni contemporanee. In questa prospettiva, le tradizioni alimentari non sono solo un residuo del passato, ma una risorsa vitale per il futuro, in un delicato equilibrio tra apertura al nuovo e preservazione delle radici. Inoltre, la valorizzazione delle tradizioni alimentari locali può giocare un ruolo cruciale nel promuovere la sostenibilità, proteggere la biodiversità e garantire la sicurezza alimentare per le future generazioni, dimostrando che il cibo è molto più di una semplice necessità biologica: è cultura, storia e un ponte tra passato e futuro.