Concretezza sabauda e influenze liguri, vista la vicinanza
al mare, ma anche la placida provincia italiana e la quotidianità fatta di
piccoli gesti. L’Albergo Ristorante Cacciatori si trova nel minuscolo centro
abitato di Cartosio, nel Monferrato alessandrino e dal 1818 è sinonimo di
accoglienza e buona cucina nostrana e territoriale in stile piemontese. Al
punto che figura oggi, e da poco più di un anno, nella lista piuttosto esclusiva e raccolta di
quelle Premiate Trattorie Italiane che, solitamente, hanno una lunga storia da
raccontare. Questa del Cacciatori è soprattutto la storia secolare della
famiglia Milano, arrivata da queste parti nel lontano 1653, da Novara, anche se
l’attività di ristorazione è ben più recente con i 200 anni di attività legata
all’ospitalità e alla ristorazione festeggiati lo scorso anno da Massimo Milano
nelle vesti di pacato padrone di casa e allo stesso tempo ultimo erede della
famiglia.
A sinistra: Massimo Milano e Federica Rossini; a destra: un dettaglio della sala
Insieme a lui, dal 2006, c’è la compagna e cuoca Federica Rossini, originaria di Tortona, che ha subito pensato di proseguire la lunga e secolare storia gastronomica del luogo, fatta di una cucina fortemente territoriale, tra erbe spontanee e verdure, e dove si guarda sempre alla stagionalità, al gusto e ai sapori come metro definitivo per determinare la bontà, o meno, di un piatto. Così nascono ancora oggi le Verdure ripiene, i Tortelli con borragine, il ricco e prelibato Pollo alla cacciatora o le Crostate casalinghe con le albicocche o con i pinoli e l’uvetta.
Baccalà e giardiniera
Che poi, a ben guardare, fa sorridere la definizione di casalingo utilizzata solo per le torte, visto che Federica Rossini, di fatto, qui è l’unica e sola padrona della cucina e ama realizzare i suoi piatti su una vecchia stufa che carica con la legna a ogni pasto. Come una volta, verrebbe da dire e con l’intimo piacere di sentirsi, una volta messe le gambe sotto al tavolo, un po’ ospiti di una casa privata o tra vecchi amici.
Federica carica la vecchia stufa a legna
Anche perché Massimo Milano è il factotum della sala, che pur essenziale e piuttosto spoglia nel suo look, risplende di una parata di opere d’arte davvero singolari, le quali riportano ai movimenti pittorici degli anni Sessanta e Settanta. Proprio qui al Cacciatori, infatti, molti degli esponenti dell’informale italiano si ritrovavano a pasteggiare e a discutere animatamente, così oggi le pareti sono caratterizzate da molti quadri firmati da Ruggeri, Morlotti, Chighine, Mušič, Lavagnino e Ruggero Savinio. In una specie di piccolo museo mangereccio dove si possono assaporare antiche ricette con un paesaggio unico sotto il profilo culturale. Lo stesso Massimo è una fonte inesauribile di aneddoti relativi ai numerosi personaggi e artisti che sono transitati da Cartosio e al tempo stesso l’approdo sicuro per un consiglio sulle bottiglie piemontesi tra Langhe, Roero e Monferrato da stappare in tavola. Oppure per gli amanti delle bollicine più pregiate in direzione Francia, con una ricca selezione di Champagne. Infine, se si vuole sostare e godere appieno della pace e della tranquillità dei luoghi c’è anche qualche camera, semplice e funzionale.
https://i1.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/Ristorante-Cacciatori-_CREDIT_Stefano-Borghesi-Fotografo-48.jpg?fit=801%2C600&ssl=1600801Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-26 09:00:542019-09-26 11:31:12ALBERGO RISTORANTE CACCIATORI A CARTOSIO – ANCORA COME UNA VOLTA
Bulåggna, “la grassa e l’umana”, cantava Guccini. Bulåggna, l’ombelico, necessariamente a forma di tortellino, dell’Emilia Romagna, trasuda da ogni poro tradizioni, emozioni, prelibatezze culinarie, dal casereccio alle chiccherie più raffinate, elementi dell’identità di chi è cresciuto e di chi passa in questa città, la bohémienne dello stivale. Qui dove la passionalità, la convivialità e l’accoglienza sono un tutt’uno con l’intramontabile cucina, qui dove si raccontano e scrivono storie intorno alla tavola, centro di gravità degli incontri più fruttuosi.
La linea tra passato, presente, futuro è sacra in luoghi così impregnati di tradizioni tant’è che in una sera di fine estate, un ristorante per la città assai speciale, la cui storia, iniziata nei primi del Novecento continua a pulsare tutt’oggi, nel cuore del cuore, proprio lì a fianco delle due svettanti Torri, simbolo indiscusso, inscena un evento tutto eccezionale. Siamo Al Pappagallo, luogo il cui nome ha origini ben diverse da ciò che appare. Tutto iniziò con Augusto Grossi, colui che nell’Ottocento fondò il primo giornale colorato umoristico in Italia “Il Pappagallo” il cui nome pare abbia ispirato i primi proprietari dell’omonimo ristorante. Con quel cambio dal “Il” all’ “Al” che tanto sa di casa, movimento sempre verso quel centro di gravità. Un luogo elegante e curato in ogni minimo dettaglio, alle cui pareti scorgi appese foto in bianco e nero di stelle del calibro di Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Alfred Hitchcock, Sharon Stone, Ugo Tognazzi, lo stesso Francesco Guccini e tanti altri che da qui sono passati per gustare la vera cucina emiliana.
Marcello Leoni
Mercoledì 18 settembre, questa la data di una piacevole e armoniosa serata inebriata da musica jazz, ormai un must, degustazione di Champagne A. Bergère insieme a piatti che non tradiscono il passato ma che, con estrema fedeltà, ricercano e spingono comunque verso l’internazionalità che ha sempre contraddistinto questa bella e dotta città. Un connubio che rispecchia l’animo del creatore, consulente strabiliante del suddetto ristorante, lo chef Marcello Leoni. “Dovremmo ascoltare ciò che la storia ci ha consegnato – osserva – a Bologna abbiamo il tortellino, la lasagna e la tagliatella che sembrano cose scontate e invece sono l’A, B, C. Se la differenza la fa la persona, la materia prima non può tutte le volte esser messa in discussione”. Il continuum tra passato, presente e futuro persiste ed è imprescindibile. Lui che dallo storico Trigabolo di Argenta è passato a Vissani, Yoda il maestro, si diverte a chiamarlo, con cui a volte ancora collabora e al quale è molto legato. “Dovrebbe fare una guida” ammette e non lascia spazi a dubbi con la sua schiettezza, parte di una personalità che radicata bene al suolo, proprio come un grande albero, cresce verso il mondo. “Tu esporti una tradizione e poi ci sono quelli più professionali che danno un’evoluzione al percorso. Bisogna avere competenze e studi quando uno si mette a fare determinate cose. Dobbiamo guardare di più fuori. Mantenendo con rigore la nostra identità”.
A sinistra: Teppanyaki di melanzane e gamberi rossi; a destra: Spaghettone con cipolla dorata di Medicina
Per la serata di degustazione Al Pappagallo ha messo in scena, lavorando insieme al proprietario del ristorante Michele Pettinicchio e allo chef Federico Gasbarro, note classiche coinvolgenti con qualche influenza: la morbidezza della Capasanta e delle vongole al vapore contrasta con trionfo le croccanti chiacchiere tipiche della città; Teppanyaki, e qui fanno capolino le scintille orientali, di melanzane e gamberi rossi, lo Spaghettone, rosso dalla rapa, che con la cipolla dorata di Medicina rende onore alla tradizionale e “semplice” pasta, Risotto romanticamente alla parmigiana e crudo di scampi, la delicatezza e al contempo intensità del Piccione in salsa bordolese e fegato d’oca affumicato e per concludere l’esplosione della croccante Millefoglie di chantilly, lamponi e caramello salato. “La grandezza delle persone si misura un po’ da quello che fanno e anche da quello che lasciano. Penso che la vita sia come un grande disco. O sei capace di farci un solco sopra altrimenti hai fatto una vita del c***. È così – ammette lo chef amante del rock, dell’arte e del fumetto – che poi non è importante che sia riconosciuto oppure no, l’importante è che tu quel solco l’abbia fatto. È come un triangolino dentro all’orchestra. Non viene considerato, ma se non c’è manca. Non siamo tutti primi violini. E un’orchestra di soli primi violini non sarebbe un’orchestra”. Conclude chi un segno, tutt’altro che invisibile, l’ha solcato.
Marcello Leoni prepara la Millefoglie di chantilly, lamponi e caramello salato
https://i1.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/IMG_4748.jpg?fit=800%2C600&ssl=1600800Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-24 15:42:452019-09-30 09:34:20JAZZ, CHAMPAGNE E MARCELLO LEONI AL PAPPAGALLO
In una Trastevere più defilata e sconosciuta, meno invasa dai turisti ha aperto da qualche mese Jacopa, un nuovo ristorante all’interno dell’ hotel San Francesco in Via Jacopa da Settesoli, al confine con il mercato di Porta Portese. Qui due giovani cuochi, Jacopo Ricci e Piero Drago, “amici da una vita”, originari dei Castelli romani – esattamente di Grottaferrata – dopo varie significative esperienze, come quella nelle cucine del Ristorante Il Pagliaccio di Roma, propongono una cucina laziale molto personale.
Il ristorante è del tutto indipendente dall’hotel: “Abbiamo carta
bianca da parte della proprietà, anche perché, dopo aver lavorato per anni
sotto qualcun altro, vogliamo sentirci liberi di fare ciò che ci pare” ci
tengono a dire. Libertà si ma rigore nella mise en place del tavolo, semplice
ma curato, e della sala curata da Alessia Samà capace di
condurre il cliente in un percorso ricco e piacevole, arricchendo l’esperienza
culinaria con una carta dei vini naturali, che spaziano dai rossi
alle bollicine.
Piero Drago e Jacopo Ricci
Dalla cucina escono piatti rock e immediati, indipendenti
e tradizionali, un po’ come sono loro due, in cui il protagonista è la materia
prima, riconoscibile, diretta e di qualità. “Siamo partiti dalla ricerca dei
migliori fornitori perché la nostra è una cucina che parte dal prodotto
stagionale, meglio se locale, che viene declinato in mille forme diverse fino a
esaurimento. Ci piace trovare collaboratori e, dove è, possibile aiutarli. Mi spiego:
le orecchie del maiale per esempio le prendiamo da un macellaio che fa la
porchetta ma non cuoce le orecchie perché altrimenti bruciano, così le utilizziamo
noi! Senza contare che noi usiamo solo animali interi, bovini esclusi, per non
sprecare nulla, e abbiamo acquistato tante pentole in ghisa per usare il
meno possibile i sacchetti e fare le lunghe cotture, come una volta! Noi siamo cresciuti con i gusti forti dei Castelli, dove la
misticanza era amara, della bestia si usava tutto e la pasta era fatta in casa”
ci spiega Pietro.
Ziti, rigaglie e peperoni
Due i menu degustazione, da 55 euro da 5 portate e a 70 euro da 7 portate, e una carta da cui si evince che i due chef vogliono provocare ma anche piacere al cliente: così se l’Orecchio di maiale riempito di erbe e giardiniera è un piatto, interessantissimo, per molti ma non per tutti, l’Alfabeto – la pasta dei bambini per intenderci – e pesci di scoglio è una madeleine di Proust che riporta ai gusti piacioni dell’infanzia. Piatti audaci quindi ma ben fatti, senza esagerazioni stilistiche, alla ricerca del gusto, in un bell’equilibrio tra sapori e consistenze.
“Da maggio abbiamo già cambiato il menu 3 volte, così non ci annoiamo e
stimoliamo il cliente a tornare. Il nostro obiettivo è quello di non avere
etichette, di lavorare bene, di capire come dare il massimo per ogni piatto, di
superare i preconcetti e, soprattutto, di divertirci! E se qualche volta
sbagliamo o un piatto non funziona…pace, si rifà!” ribadisce Jacopo.
Obiettivo raggiunto per questi due amici che vanno per la loro strada con passione e divertimento e di cui si sentirà parlare. Intanto ci regalano la ricetta di un piatto che a noi è piaciuto molto: i Ravioli, agnello e yogurt.
Ravioli, agnello e yogurt
RAVIOLI, AGNELLO E YOGURT
per 4 persone
Per la pasta
400 g di farina
100 g di semola di grano duro
4 tuorli
5 uova intere
Impastare tutti gli ingredienti e lasciare riposare l’impasto. Stendere la pasta e tenere da parte i dischi.
Per il ripieno
1 agnello intero
aglio q.b.
timo q.b.
rosmarino q.b.
cipolla q.b.
aceto q.b.
olio extra vergine d’oliva q.b.
sale q.b.
pepe q.b.
Pulire l’agnello e tenere le parti magre da una parte. Con le ossa e le parti cartilaginee fare un fondo classico. Rosolare le parti magre con olio, aglio, cipolla, timo e rosmarino. Aggiustare di sale e pepe e sfumare con l’aceto. Lasciare cuocere lentamente in una pentola di ghisa. Una volta cotto sfilacciare l’agnello e condirlo con pecorino, yogurt di pecora e olio di elicriso. Quindi adagiare la farcia sui dischi di pasta e fare i ravioli. Cuocere i ravioli in abbondante acqua salata, glassarli con fondo di agnello e sfumarli con l’aceto.
Per la salsa allo
yogurt
yogurt di pecora q.b.
olio di elicriso q.b.
olio di rosmarino q.b.
pepe q.b.
Lavorare lo yogurt di pecora con sale, olio di elicriso, olio di rosmarino e pepe.
Per completare il
piatto
pecorino q.b.
foglie di elicriso q.b.
Disporre lo yogurt sul fondo, aggiungere i ravioli. Terminare con pecorino e foglie di elicriso.
https://i1.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/maiale-erbe-e-giardiniera.jpg?fit=800%2C600&ssl=1600800Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-23 13:17:182019-09-23 13:34:57JACOPA, CORAGGIO E COERENZA NEL PIATTO
Trent’anni e non sentirli. È stata presentata lunedì a Milano Osterie d’Italia 2020, l’iconica guida dello star bene a tavola firmata Slow Food Editore che quest’anno entra nella quarta decade di vita più ricca, più comoda, più di servizio (sono ben 1656 le osterie recensite nell’edizione 2020). Per celebrare l’importante anniversario, si presenta con una rinnovata veste grafica e un formato leggermente ridotto, oltre a nuove icone di servizio e indicazioni per identificare le osterie vicine ai caselli autostradali e alle stazioni ferroviarie, icone fortemente volute dai curatori Marco Bolasco ed Eugenio Signoroni.
La guida è stata presentata
al Piccolo Teatro di Milano, il cui palco è
stato allestito come l’interno di un’osteria, da Marco Bolasco e Eugenio Signoroni. Il primo ha messo in evidenza
come “il futuro delle Osterie che guardano avanti senza dimenticare il passato
sia sempre più in mano ai giovani” e il secondo ha sottolineato come “sia
sempre più un riferimento per coloro che sono alla ricerca di locali che
propongano una cucina di territorio a un prezzo corretto”. A loro si sono
aggiunti intorno al tavolo, gli osti di Milano Cesare Battisti per
Ratanà, Juan Lema per Mirta, Angelo Bissolotti dell’Osteria del treno e
Sebastiano Corno per Trippa dove è emerso che alla convivialità e socialità si
è unita la selezione e ricerca delle materie prime di qualità da utilizzare in
cucina, ma anche come osteria sia (quasi) l’anagramma di storia, non a caso.
Notevoli anche le
parole di Michele Serra, che sul
palco ha letto un testo del giornalista Gianni Brera, e ha definito l’osteria
come “un luogo del cuore che rappresenta molta sostanza e poca forma“, dove si
sta bene o, citando Brera, “la madre adottiva” e di Carlin Petrini che ha ricordato il ruolo della guida in questi 30
anni capace, “capace di salvaguardare il patrimonio delle Osterie d’Italia nel
momento in cui in tutta Europa la ristorazione popolare perdeva smalto, a
cominciare dai bistrot francesi. E nei prossimi 30 anni ci dovremmo difendere
dall’esasperazione delle troppe osterie che non lo sono e rivendicano questo
nome! Essere oste – e sarebbe bene che su questo palco, la prossima volta, ci
sia qualche donna in più, che è lo spirito e la spinta di ogni osteria –
significa essere rappresentanti di una tradizione storica e di una diversità di
territori, ma anche di un bene relazionale nei confronti di chi entra nel
locale, un bene che va conservato e mai dimenticato”.
Nel corso dell’evento sono stati anche presentati gli osti che si sono meritati la Chiocciola e i sei premi speciali: Miglior Novità alla Trattoria L’Avvolgibile di Roma di Adriano Baldassarre, il Miglior Giovane è Stefano Sorci chef patron dell’Oste Dispensa di Orbetello (GR), la Miglior Carta dei Vini si trova Trattoria Visconti di Ambivere (BG), la Miglior Interpretazione della Cucina Regionale va all’Antica trattoria Di Pietro a Melito Irpino (AV), la Miglior Dispensa è quella calabrese della Locanda Pecora Nera di Albi (CZ) e il premio per Miglior Oste va a La Brinca di Ne (GE).
https://i0.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/IMG_0227.jpg?fit=800%2C600&ssl=1600800Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-19 12:49:362019-09-19 12:55:31OSTERIE D'ITALIA 2020 – 30 ANNI E TANTI MOTIVI PER FESTEGGIARLI
La rivincita del ristoro sociale di Nicola Cavallaro
Testo e foto di Lorenzo Sandano
“Non auspichiamo l’avvento di un ordinamento sociale in cui non venga osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, abbiamo la convinzione che scomparirà ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza contro gli uomini. Perché gli uomini si abitueranno a osservare le condizioni elementari della convivenza sociale, senza violenza e senza sottomissione”.
Su comunismo, socialismo, democrazia, stato e dittatura del proletariato – Vladimir Il’ič Ul’janov Lenin
Milano desertica e surreale, in modalità fine/estiva tira fuori – se possibile – il meglio di sé. Deambulando sotto il sole in Porta Romana, il murales dal piglio leninista dell’Ex-Vittoria Occupato (Centro Sociale) spezza i corridoi metropolitani di asfalto rovente. Quasi a predisporre lo spirito su scale cromatiche socialiste, prima di varcare il portone d’ingresso della Cascina Cuccagna. Pochi metri più avanti. Un’ampia corte ombreggiata riporta le temperature su gradazioni accettabili, ma ti teletrasporta al tempo stesso in un ritrovo bucolico inaspettato. Manco fosse uno Stargate. Prati, giardini, tavoloni in legno conviviali a perdita d’occhio. E ancora alberi da frutta, una fioreria, campi da gioco per bambini, un piccolo orto urbano e una ciclofficina (per gli addicted delle due ruote non motorizzate). Ma siamo solo all’inizio.
Foto della pagina Facebook di Un Posto a Milano
Il progetto – già ultra noto e consolidato dal 2012 – è quello di restauro conservativo e recupero a uso pubblico/collettivo di un’antica cascina settecentesca abbandonata. Iniziativa lodevole, scaturita proprio dalla volontà dei cittadini e dell’Associazione Consorzio Cantiere Cuccagna. Conseguendo l’obiettivo di riabilitare un’enorme spazio in disuso (parliamo di circa 2000 mq), trasformandolo in un nucleo di incontro aggregante per qualsiasi fascia sociale o appartenenza culturale/etnica.
Il progetto ha preso il largo negli anni con successo assoluto nell’hinterland milanese. Sviluppandosi nella sua forma ideale: come un’oasi di vibrazioni positive e approccio autarchico, incastonata nel cemento cittadino. Un concetto di sostenibilità a ciclo chiuso che sfiora l’utopia, ampliando i poli dell’offerta con una foresteria di 4 graziose stanze (che consentono di soggiornare in loco) e un’idea di ristoro sociale che copre tutti i momenti edibili della giornata su più fasce e modalità di accoglienza. Il bar/gastronomia, sempre aperto dalla mattina al dopocena (con una linea di caffetteria, lieviti, snack e cocktail interamente homemade) e un ristorante dalla capienza significativa (oltre le 150 sedute) che riassume in forma culinaria la filosofia pulsante della Cascina AKA Un Posto a Milano.
A destra la stratosferica michetta semi-integrale con mortadella; a sinistra la pizza con pomodoro bio, bufala e acciughe sicule di struggente bontà
Proprio in questo contesto ristorativo, si è insediato fin dagli esordi un cuoco di rango come Nicola Cavallaro. Chef largamente conosciuto e apprezzato nel panorama meneghino per il suo precedente/omonimo locale. Che però, con mossa decisamente acuta e pionieristica, ha scelto di distanziarsi in tempi non sospetti (circa 10 anni fa) dalla ristorazione detta gourmet. Prediligendo una cucina più immediata e materica, ma soprattutto etica nell’accezione più integralista del termine. Si, perché Cavallaro non ha abbondato le competenze tecniche o conoscitive appartenenti al suo background. Bensì ne ha fatto espediente creativo da trasporre nel contenitore agreste e conviviale della Cuccagna.
Spaghetto trafilato in casa, lucidato a dovere con aglio&olio, polvere di pomodoro, peperoncino e bottarga di tonno
Sfoderando una varietà impressionante di ricette e preparazioni DIY, adattabili a una metrica realmente popolare di cucina. Caratterizzata da una selezione di ingredienti di aitanti produttori, contadini e allevatori del territorio italiano: realtà che ama definire coerentemente a chilometro vero. Il risultato traspira cura, tatto e salubrità da ogni assaggio. Agguantando un delizioso panino o uno spicchio di focaccia dal banco del bar (lo chef ha un talento ineffabile per lievitati di qualsiasi foggia) o sfogliando l’invitante e interattiva carta del locale. Splittata tra un pranzo smart e informale e una cena altrettanto appetibile, ma più sagomata sul valore espressivo di Nicola. Un palinsesto di piatti dall’animo soul e godereccio, capace di racchiudere finezza mai ostentata. Dalla stratosferica michetta semi-integrale (da farine macinate a pietra e ariosa mollica) con mortadella – che nobilita una merenda scolastica spesso penitente – alla pizza (cotta magistralmente in forno elettrico) con pomodoro bio, bufala e acciughe sicule di struggente bontà. Capitolo intero meriterebbero le evoluzioni sul tema pane, autentico feticcio dello chef (illegale la ciabatta integrale da tuffare in burro montato di Fattorie Fiandino). Segue il ludico – ma centratissimo nel gusto – Gamberi rossi, ovo & ovi: dove una succosa omelette in stile giapponese, preparata con uova biologiche dell’azienda agricola Cascina Pizzo di Mediglia, si completa in fraseggi di temperature e consistenze con gamberi rossi crudi, bottarga di Muggine e ketchup di rapa rossa.
La trilogia di polpette
La trilogia di polpette – maiale sfilacciato e salsa BBQ; Polpetta cruda di Fassona in panure di frutta secca; Polpetta di fave di Carpino (Presidio Slow Food), ceci e patate con salsa aioli e giardiniera selfmade – è una stilettata dritta a cuore&pancia, fatta di sapori domestici promossi con sapienza al futuro. Poi, un sontuoso e tagliente Spaghetto trafilato in casa, lucidato a dovere con aglio&olio, polvere di pomodoro, peperoncino e bottarga di tonno (anche questa autoprodotta). I secondi, sono un’ode al compartir più libero e sfrenato: Costine di maiale nero laccate; Pollo biologico alla griglia da porzionare e dividere tra i commensali in luculliano rito conviviale. Rilanciate da una platea di salse, dressing, intingoli e piattini vegetali, che definire contorni risulterebbe a dir poco riduttivo. In particolare le patate arrosto, frutto di uno studio su cotture e resa del tubero davvero encomiabile.
Si chiude con una Ganache extra fondente, spezzata esoticamente dall’acidità del passion fruit. Mentre un servizio agile, cordiale e sorridente (per tutta l’esperienza trascorsa nel dehors a tavola) recapita un bicchiere di vermouth artigianale, dalla ponderata carta di alcolici e vini. Sorride a ragione Cavallaro, irradiato da una serenità espressiva conquistata con perseveranza, visione e consapevolezza. Perché il suo ristoro sociale urbano è “un posto a Milano” che funziona e che non esiterei a consigliare a chiunque.
https://i2.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/IMG_9484.jpg?fit=800%2C600&ssl=1600800Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-16 11:16:192019-09-16 11:27:24LA CASCINA NEL CEMENTO, IN UN POSTO A MILANO
No, non vi siete sbagliati. E non si tratta di un negozio di manga o di
fumetti. Se vi trovate di fronte a una porta tappezzata di adesivi, in un
quartiere un po’ decentrato di Bologna, entrate pure e dopo pochi passi verrete
catapultati nella sala di Oltre., il più innovativo e piacevole ristorante di
quella che forse potremmo chiamare una new
wave emiliana, visto l’impatto estetico underground e il piglio sbarazzino
a tavola.
Si perché la coppia formata da Lorenzo Costa e Daniele Bendanti,
rispettivamente impegnati il primo sulla sala e l’accoglienza, mentre il
secondo in cucina, già ai tempi dell’apertura, avvenuta nell’aprile del 2016, avevano
puntato su una scelta di campo piuttosto spiazzante. Che tuttora li pone in
cima alla lista tra i must be in
città. Il menu, concepito come un flyer in versione fumetto rende ben chiaro
quale sia il mood prediletto di Oltre.. Quello di una cucina profondamente
bolognese, ma che si concede improvvisi link verso altre cucine e si lascia
andare a piacevoli commistioni con quelle che sono le passioni della coppia di
proprietari.
I piatti però raccontano sempre al meglio l’Emilia sul filo della
tradizione tra Gnudi di baccalà, le
classiche sfoglie che passano dalle Tagliatelle
al ragù battuto al coltello ai Rigatoni
al torchio con la salsiccia di Savigni e i gustosi secondi che non sono da
meno, con la Cotoletta alla bolognese
o il superlativo Piccione in varie cotture
con paté di fegatini, il quale, invece, ricorda bene a tutti il passaggio
di Bendanti nelle cucine di Arnolfo, in Toscana. Detto anche per far capire che
non ci si trova in una trattoria improvvisata, visto che il servizio è quello
in stile fine dining e l’esperienza
dei due pur giovani titolari, Lorenzo classe 1990 e Daniele classe 1981, racconta
di anni spesi nella ristorazione, magari frequentando anche qualche ristorante
all’estero, come lo stellato Zaranda di Fernando Arellano in Spagna, da un
cuoco che ha sempre mantenuto stretti legami con l’Italia, essendo transitato
lui stesso da Iaccarino.
Oltre. è, senza mezzi termini, un ristorante che mantiene le promesse, perché diverte, offre cucina di sostanza pur lasciando spazio a voli pindarici e immaginifici, e che ama di tanto in tanto lanciarsi in avventurose digressioni di mixologia al tavolo grazie ai sapienti tocchi del modenese Nico Salvatori. In più, ed è un aspetto davvero non trascurabile, il ristorante mantiene prezzi abbordabili sia che si scelga il percorso da cinque portate o che si preferisca invece pescare alla carta. Le parole che vengono in mente assaporando i piatti sono quelle ben conosciute – e a volte abusate – di territorio, di artigianalità, di gola, di meticolosità, che vanno di pari passo con il riconoscimento della materia prima locale, da riportare in auge tra le pieghe di preparazioni solo apparentemente semplici. Dietro la riconoscibilità di questi sapori c’è, in realtà, un lavoro certosino quotidiano e volendo tornare alle glorie gastronomiche locali, passa in primis dalla perizia con la quale vengono confezionate le paste o la cura e l’attenzione per le cotture. Tutti aspetti che da Oltre. sono a dir poco fondamentali, e che poi ti ritrovi nel piatto.
https://i0.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/Schermata-2019-09-12-alle-09.50.52.png?fit=803%2C600&ssl=1600803Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-13 09:22:092019-09-13 09:36:56OLTRE. – LA NEW WAVE EMILIANA A BOLOGNA
la festa di Viviana Varese per l’inaugurazione del suo nuovo ristorante, da Eataly Smeraldo
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Alberto Blasetti
VIVA è un gomitolo di tante suggestioni emotive, professionali e culturali strette intorno al mondo enogastronomico. In forma di ristorante. VIVA è l’acronimo di Viviana Varese: l’eclettica cuoca stellata che ha dato vita a questo energetico locale dalle cangianti sfaccettature artistiche e culinarie, tramutando il suo consolidato Alice in un nuovo e vivido spazio. E lo ha inaugurato in grande stile – giovedì 5 settembre – lasciando convergere tutti i profili che ritraggono l’animo di VIVA in una festa monumentale. Aperta al convivio, all’integrazione sociale e al divertimento senza confini.
ViVa – Un manifesto onirico nei toni del blu, un viaggio avvolgente tra i valori, le sensazioni e le emozioni di VIVA. Smalto e pigmenti su 84 tele 20×20 cm 240×220 cm – anno 2019; Opera di Marco Nereo Rotelli A sinistra foto di Sonia Marin, a destra foto di Alberto Blasetti
Un incontro tra amici provenienti da tutto il globo, che ha
raggiunto facilmente volumi da record. A rimarcare lo scambio libero di identità, etnie e idee che
caratterizza la filosofia della cuoca di origini campane. Ma anche l’apertura
sincera al mondo sempre più tangibile nella città meneghina.
Postazioni di oltre 30 cuochi italiani e stranieri, uniti a
cucinare spalla a spalla per l’evento. Scandendo visivamente l’architettura e
le geometrie dal design accattivante, studiato pezzo per pezzo dalla chef con
il supporto di grandi professionisti. Con il quid di un’istallazione concepita
su misura dall’artista Marco Nereo Rotelli: una special
site-installation/performance “Luce VIVA”, atta a narrare l’essenza della
filosofia di Viviana. Attraverso parole che diventano poesia, come sostenibilità,
condivisione, città sintetica.
Colori, vitalità e goliardia in divenire, per un’entità che si è presentata al pubblico mettendo subito in primo piano il concetto portante di inclusione che la cuoca ama vivere e sottolineare con la sua brigata. Ma anche in condivisione con un’ideologica brigata allargata di colleghi che hanno animato le vibes del party. Dall’inizio alla fine. Coinvolte attivamente all’opening, anche la socia di Viviana Ritu Dalmia (imprenditrice e proprietaria di numerosi ristoranti nel mondo e del Cittamani di Milano); insieme alla sous chef e capo pasticciera Ida Brenna; il sous chef Matteo Carnaghi; il Direttore di sala Luis Diaz e la giovane sommelier Federica Radice. Con cui è stata pensata una portentosa carta dei vini, ampliata fino a 700 etichette, che rivolge grande attenzione allo Champagne e a un corner apposito per la degustazione di rare annate di vini Marsala. Tra i più prestigiosi produttori, come De Bartoli che ha realizzato un’esclusiva etichetta dedicata a VIVA.
Jessica Rosval di Casa Maria Luigia prepara il Cotechino su sbrisolona, zabaione al balsamico
Allietati e travolti dal timbro vocale live della cantante Italo-francese Kelly Joyce – e dalle cartucce alcoliche sparate a profusione dalla talentuosa bartender del ristorante, Jessica Rocchi – gli assaggi in scena alla festa sono evaporati facilmente. Tra turbanti salmastri di Spaghetti alla colatura di alici by Pasquale Torrente (Al Convento a Cetara); la sorprendente Zuppa di mandorla, uva e tonno palamita di Maria Solivellas (Ca na Toneta a Mallorca); i corroboranti Supplì al telefono dell’Oste della Bon’Ora (Grottaferrata, Roma); gli antologici Agnolotti di Ugo Alciati (Ristorante Guido a Serralunga d’Alba); il seducente e territoriale Cotechino su sbrisolona, zabaione al balsamico delle ragazze di Casa Maria Luigia by Lara Gilmore e Massimo Bottura (Modena). Per poi planare dolcemente sul trionfo glicemico di pasticceria modernista a cura della virtuosa pasticciera Annalisa Borella.
Nel mezzo, molti molti altri cuochi e rispettive ricette, oltre 8000 porzioni distribuite. Ma soprattutto istantanee di gioia, passi di danza e sguardi sorridenti. Per arrivare a snocciolare tutti gli elementi che compongono VIVA, sicuramente si potrebbe indagare in molti altri micro-progetti studiati al dettaglio: la ricerca sui prodotti agricoli e sui presidi Slow Food, sull’orto privato promosso dalla chef, sulla selezione di tè e sulla cura artigiana delle divise di Giovanni Cavagna. Ma, perdonate il gioco di parole, il modo migliore per scoprire questo dinamico ristorante è quello di viverlo nella sua veste operativa. E di certo questa festa è già parte integrante dell’atmosfera elettrizzante che si respirerà in queste sale.
https://i1.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/Alberto-Blasetti-Ph.-8502.jpg?fit=800%2C600&ssl=1600800Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-11 14:45:102019-09-20 12:51:15ALICE è VIVA
“Francesco Brutto suona con andante la sua partizione, una caterva di piatti (tanti tanti, troppi?), di movimenti sfumati l’un nell’altro. L’esplosione musicale è sempre rifratta, il finale non è mai il culmine immediato, trait d’union provvisorio scrittura pensata per il live seppur venente da ore e ore di prove in studio. Insomma è più sulla scia delle marziali armonie del Jon Hopkins di Immunity (2013), immune da facili effetti e semplicistiche approssimazioni. I movimenti sono tanti, tanti quanto i piatti del menu degustazione, che se ne fotte di sfornare hits a ogni portata. All’Undicesimo Vineria, ogni cosa a suo tempo, secondo un bioritmo interno.
Le Castraure scemano il soave amarognolo con l’erba gatto nepetella e il tuorlo marinato col muschioso sentore dell’ambretta. Lasciando libero Regis non di lasciare ma addirittura di raddoppiare la posta in gioco accordandoli con la “dolceruosa” birra Rauchbier – ma servita in un bicchiere “avvinato” al Calvados. Roba da urlo, da dieci con lode, da bis e tris, ce ne porti al volo altre quattro porzioni – se solo però avessimo passato comanda noi stessi”.
La storia di Francesco Brutto, Chiara Pavan, Undicesimo Vineria e Venissa potete continuare a leggerla su Cook_inc. 24, qui di seguito invece trovate la ricetta delle Castraure, nepetella, ambretta e tuorlo d’uovo marinato che hanno fatto impazzire il nostro Andrea Petrini!
per 4 persone
Per le castraure
24 castraure
olio extra vergine
d’oliva q.b.
sale q.b.
burro nocciola q.b.
Mondare le castraure e conservare
tutte le foglie esterne e le parature per un secondo momento. Una volta pulite
tagliarle a metà e metterle in un sacchetto da cottura sottovuoto con un filo
d’olio e un po’ di sale. Una volta chiuso il sacchetto cuocere per circa 10
minuti finché il gambo non sarà morbido, in una pentola piena d’acqua che
sobbolle, con un peso appoggiato sopra alle buste sottovuoto. Prima di servire,
ripassare le castraure in padella con un po’ di burro nocciola.
Per il succo di ambretta
70 g di semi di
ambretta
acqua q.b.
Mettere in ammollo i semi di
ambretta per una notte in acqua a temperatura ambiente. Il giorno dopo frullarli
velocemente al Bimby per romperli. Successivamente estrarne il succo con la
Green Star.
Per il caffè di castraure
foglie e parature di
24 castraure
acqua q.b.
Tostare le foglie e le parature di
castraure a 160°C in forno finché non saranno abbrustolite, abbassare poi la
temperatura del forno ed essiccare le foglie. Una volta secche frullarle al
Bimby fino a ottenere una polvere fina. Reidratare la polvere con abbondante acqua
e passarla velocemente al Bimby. Filtrare con un chinois a maglia fine e
mettere a ridurre a fuoco lento fino a ottenere una consistenza sciropposa.
Lasciare raffreddare e conservare per dopo.
Per i tuorli d’uovo marinati
500 g di sale
500 g di zucchero di
canna grezzo
3 tuorli d’uovo
Mescolare per bene pari peso di
sale e zucchero di canna grezzo, dividere i tuorli dall’albume e appoggiarli
delicatamente sopra metà della marinata. Coprire e lasciare marinare in frigo
per due giorni e mezzo. Tagliare a fettine fini prima di servire.
Per completare il piatto
4/5 foglie di nepetella
selvatica
In un piatto adagiare le castraure ripassate, delle fettine fini di tuorlo d’uovo marinato e terminare con poche gocce di caffè di castraure e succo di ambretta. Decorare con 4/5 foglie di nepetella.
La pizza di Hart & Bonci conquista la città danese
Reportage – dalle retrovie – dell’evento di Gabriele Bonci, ospite alla Hart Bageri
Testo e foto di Lorenzo Sandano
“Ma ci attendiamo ben altro dalla Rivoluzione.
Vediamo che il lavoratore, costretto a lottare faticosamente per vivere, è ridotto a non conoscere mai quegli alti godimenti della scienza e della scoperta scientifica, dell’arte e ancor più della creazione artistica.
È per
assicurare a tutti queste gioie, riservate oggi a un piccolo numero di persone.
È per
lasciare il tempo, la possibilità di sviluppare queste capacità intellettuali
che la Rivoluzione deve garantire ad ognuno il pane quotidiano.
Il
tempo libero dopo il pane – ecco lo scopo ultimo”
“La
Conquista del Pane” – Pëtr Alekseevič Kropotkin
Italia e Danimarca amalgamate in un impasto per pizza. Senza compromessi. È avvenuto sabato scorso, durante una mirabolante jam session tra Richard Hart e Gabriele Bonci (di cui potete scoprire di più su Cook_inc. 23) presso la Hart Bageri di Copenaghen. Se vi chiedete perché uno dei più celebri e quotati panificatori internazionali abbia invitato il vulcanico fornaio romano a stendere pizze a profusione nella sua bakery danese, la risposta è rintracciabile in concetti elementari. Quali condivisione, collettività, rispetto e integrazione.
A rafforzare il tema che: se l’uomo è animale politico – sempre più allo sbaraglio aggiungo io – pane (e pizza) sono di certo beni/alimenti sociali per definizione. E ci voleva un incontro di questa portata per ribadirlo come si deve. In un periodo in cui la gastronomia galleggia fin troppo su sistemi mediatici e digitali che tendono ad assecondare interessi distaccati dal significato puro e collettivo del cibo. Premo la penna su questo pensiero, perché proprio Hart – che ricordiamo essere uno dei principali esponenti della new age di panificatori USA, sin dalla fornace avanguardista accesa nei primi 2000 nella Tartine Bakery di San Francisco – non si è limitato a inscenare un happening di scambio visibilità, risolto su uno scroll di WhatsApp. Richard, munito di risata contagiosa da londoners e di famelica curiosità creatrice – ha scelto prima di far visita al Panificio Bonci in Via Trionfale (parliamo di parecchio tempo fa). Dove, sporcandosi le mani di farina e sudore, ha interiorizzato con empatia il lavoro di Gabriele. Innamorandosi della sua idea di pizza, del suo approccio agricolo ed etico riversato nella manodopera e negli impasti del pane. Ma soprattutto cercando di far maturare uno scambio sinergico e spontaneo di confronto adattabile ai prodotti di entrambi. Una trasmissione antica di saperi artigiani, rivolta al presente. Che ha preso poi forma anche attraverso i social media. Ma solo sfruttandoli, in seconda battuta, come strumento. Mai il contrario.
Padellini con fagioli, pomodori e limone arrosto
Così, consolidata un’amicizia, è nata anche l’idea di dare corpo e contenitore a questa fotosintesi di intenti e approcci infarinati. E quale luogo migliore della novella Hart Bageri? Inaugurata (con enorme successo) a Copenaghen, sotto vaglia del gruppo di René Redzepi del Noma.
Scopo dell’ultimo dell’evento: rallegrare gli appetiti danish con valanghe di pizza, sfornate no-stop dalle 18:30. Integrando la cultura romana di Bonci, con le tecniche, i gesti e i mezzi concessi dall’esperienza di Hart e del suo team. Io, ho avuto l’onore e il piacere di seguire l’evento all’origine, dal lato operaio della barricata: quello dei panificatori. E posso testimoniare con sincero entusiasmo, quanto l’istinto e lo spirito di condivisione pro-attivo, abbiano trionfato su logiche di esibizionismo o tecnicismi fini a se stessi. Perché da un’idea basica di Bakers Pop-Up, si è generata una performante maglia glutinica di interazioni autentiche tra persone; improvvisazioni rivelatrici; gesti solidali e spunti di crescita comuni. Come agente lievitante per tutto ciò, un’energia collettiva e adrenalinica senza confini. Da far invidia a qualsiasi lievito naturale dopo ennemila rinfreschi.
Esempio su tutti, l’intreccio/incontro maturato in assoluto freestyle tra Bonci e la Relæ Community di Christian Puglisi e Alessandro Perricone. I due hanno letteralmente spalancato le porte della loro Farm of Ideas poco fuori Copenaghen (la fattoria etica e sostenibile che abbiamo ampiamente raccontato su Cook_inc. 23) per omaggiare Gabriele e Richard con i frutti biodinamici del loro lavoro agricolo. Ortaggi, verdure, erbe aromatiche dal gusto primordiale e cristallino. Che hanno stimolato la fantasia di Bonci, come un bimbo in un Luna Park agreste. A partire da una varietà arcaica di pomodori (il Roma) che è stata la base portante per la genesi di molte pizze della serata da Hart. Idealmente quasi a prolungare in continuità il tema del Seed Exchange espresso proprio dall’evento annuale di Puglisi (che si era tenuto pochi giorni prima dell’arrivo di Bonci). Nel mezzo, un lavoro di squadra dallo spessore sociale intensissimo. Promosso sin dai giorni precedenti all’evento, in sharing assoluto di impressioni, conoscenze e vissuti gastronomici.
Da sinistra: Kimchi Pizza, Padellino con pomodori della Farm Of Ideas marinati in vaniglia e cardamomo nero e fondo di verdure arrosto, Flatbread di Richard Hart con mortadella
Anche a tavola: dal convivio celebrato al Noma, al Relæ, o al Hija de Sanchez; passando per gli shopping-tour nei mercati danesi e la trasmissione di farine e lieviti nel forno. Arrivando a concepire condimenti sartoriali e impasti innovativi/contaminati per le due tipologie di pizza proposte da Bonci e Richard: un formato padellino (cotto in ruoto di allumino, realizzato con farina di segale, farina di riso, segale tostata con malto e tre pre-fermenti riuniti in un unico impasto). Passando poi a una classica pizza in pala romana, dotata del quid di un sourdoughSan Francisco Style (lievito di coltura antichissima, contenente fungo Candida humilis, onnipresente nei lievitati di Hart) innestato al 100% su una pasta semi-integrale ad altissima idratazione. A supporto del virtuoso duo di Baker/Pizzaiolo – oltre alla truppa affiatata del panificio – anche lo chef Tommaso Tonioni (giovane cuoco di prossima apertura nel Ristorante Settembrini di Roma) e Aurora Zancanaro del Micro Panificio LePolveri di Milano (in loco, per caso, durante uno stage formativo nella città danese).
Pizza ripiena con mortadella, zenzero e formaggio danish
L’esito dell’evento è stato a dir poco fuori misura. Scatenando una fila chilometrica di oltre 500 persone lungo la via fuori dal locale. In trepidante attesa con 40 minuti di anticipo prima dello start. Situazioni più consone a una release del nuovo iPhone piuttosto che alla mandata di qualche teglia di pizza. Una risposta dai volumi colossali (quella dei foodies danesi) su cui vale la pena riflettere in positivo. Anche perché, oltre alla clientela scalpitante, sono accorsi tra i più importanti esponenti della ristorazione locale, con brigate al seguito: Redzepi e famiglia con quasi tutto il team creativo del Noma; i ragazzi del panificio Mirabelle e della Relæ Community di Puglisi; Rosio Sanchez in prima linea; nonché alcuni affermati panificatori in direttissima da San Francisco. Rilassati, gioviali e disinibiti nell’apprezzare in semplicità le powered slices sfornate a ripetizione da Richard & Bonci: Padellino con pomodori marinati della Farm of Ideas marinati in vaniglia e cardamomo nero e fondo di verdure arrosto, Pizza ripiena con formaggio danish a latte crudo, mortadella e zenzero; Margherita al sourdough 100%; Pizza alla pala con zucca arrosto; salsiccia danese e burro nocciola; Pizza ripiena con mortadella e cetrioli marinati della Farm of Ideas; Padellino con crema di fagioli, salsa di limoni arrosto, pomodori gialli e dragoncello; Pizza con cipolle in doppia cottura e pak choi biologico, Kimchi pizza, con doppia pala crunch al sourdough farcita con pomodori, kimchi homemade e formaggio danese bio, in omaggio all’iconico kimchi toast della Hart Bageri. Poi molto molto altro ancora. Il tutto, vale la pena sottolinearlo, senza la necessità di presenzialismi VIP o inviti elitari. Restituendo un significato popolare, sano e comunitario ai prodotti da forno. Elaborati da due maestri degli impasti e dei valori umani, uniti da affinità gastro-elettiva.
P.S.: Cavalcando entusiasmi fertili e il progetto di Bonci sul
movimento agricolo in Garfagnana, si lasciano attendere rilevanti special guest
tra cuochi, panificatori e protagonisti che hanno preso parte a questo
pizza-meeting. Vi terremo aggiornati su Cook_inc.
https://i1.wp.com/cookinc.it/wp-content/uploads/2019/09/UNADJUSTEDNONRAW_thumb_bbf4-1.jpg?fit=800%2C600&ssl=1600800Gretahttps://cookinc.it/wp-content/uploads/2019/01/logo2x.pngGreta2019-09-05 15:38:132019-09-06 10:30:41COPENAGHEN CAPUT MUNDI
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